Il lavoro dell’algebrista

Qualcuno anni fa cantava la matematica non sarà mai il mio mestiere. In effetti, nemmeno le persone che di professione si occupano di matematica pretendono di esercitare la matematica come mestiere, quanto piuttosto di occuparsi di uno o più argomenti di qualche sua branca. Si parla per esempio di algebristi, analisti, geometri, magari specializzando il titolo in algebrista commutativo, analista numerico, geometra differenziale e altre sibilline, e talora buffe, locuzioni. Ma qual è il mestiere che effettivamente svolge un matematico professionista, dedito a una delle tante declinazioni di questa scienza? Spesso non è quel che si crede sulla base delle nostre frequentazioni scolastiche della matematica. Prendiamo per esempio gli algebristi, cioè i matematici che si occupano di algebra: come memorie forse dolorose delle scuole medie e superiori ci ricorderanno, quest’ultima è l’arte di manipolare le equazioni algebriche per risolverle.

Un’equazione algebrica, sadicamente ricordiamo a chi legge, è un polinomio in una incognita x eguagliato a zero: risolverla vuol dire trovarne le soluzioni. In altri termini, un’equazione è una domanda scritta in un formalismo simbolico e risolverla vuol dire trovare la risposta. Per fare un esempio, ecco un semplice problema tratto dal libro Algebra pubblicato alla metà del Cinquecento dal grande algebrista bolognese Rafael Bombelli: “Trovisi due numeri over quantità che l’uno sia 2 più dell’altro e li loro quadrati gionti insieme faccino 24”. Al di là del congiuntivo fantozziano, testimone del volgare dell’epoca, questo problema si può formulare con il simbolismo che ci insegnano alle scuole medie: come ricerca di due numeri x e y tali che sia x=2+y e x2+y2=24. Come si risolve questo problema? Ce lo hanno insegnato alle medie, appunto, tramite l’algebra.

Algebra è una parola araba che viene dal titolo di un celeberrimo libro del gran sapiente persiano Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, vissuto nel IX secolo a Bagdad, allora capitale del grande califfato abbaside, un impero che per estensione e durata è paragonabile all’Impero romano. Il termine al-jabr vuol dire completamento e allude al fatto che per risolvere un’equazione spesso la si trasforma in un’altra, che sappiamo risolvere, completandone uno dei due membri, per esempio aggiungendogli una quantità che lo renda più facilmente esprimibile. Per capire, vediamo come si usa l’algebra per risolvere il problema di Bombelli.

Intanto abbiamo due equazioni che coinvolgono due incognite: la prima è x=y+2 mentre la seconda è x2+y2=24. Poiché il simbolo x si riferisce a una quantità ignota ma che è la stessa in entrambe le equazioni (e lo stesso vale per y), possiamo sostituire il valore y+2 per x della prima equazione al posto della x nella seconda, ottenendo una sola espressione (y+2)2+y2 che è uguale a y2+4y+4+y2 (frugate nella memoria la regoletta per il quadrato del binomio: (a+b)2=a2+2ab+b2), col che l’equazione si riduce a 2y2+4y+4=24. Ci siamo quindi ridotti a risolvere un’equazione in una sola incognita, la x è sparita: magia dell’algebra!

Inoltre, possiamo ulteriormente semplificare l’equazione applicando altre regole algebriche: intanto dividiamo entrambi i membri per 2 ottenendo y2+2y+2=12. Poi notiamo che, se al primo membro il terzo addendo non fosse 2 ma 1, allora, per la già rammentata formula del quadrato del binomio, avremmo y2+2y+1=(y+1)2. Ecco l’idea: se riuscissimo a trasformare l’equazione y2+2y+2=12 in modo che al primo membro ci fosse y2 + 2y + 1, l’equazione stessa si ridurrebbe a una forma facilmente risolvibile. In effetti, basta sottrarre 1 da entrambi i membri dell’equazione per ottenere y2+2y+1=11 cioè (y+1)2=11. Ma allora, prendendo la radice quadrata di ambo i membri, troviamo le due equazioni y+1=√11 e y+1=–√11 (ricordiamo che un quadrato a ha due radici quadrate: +√a e –√a) da cui le soluzioni y=–1+√11 e y=–1–√11 che, a loro volta, ci porgono anche x=y+2=–1+√11+2=1+√11 e x=1–√11.

In tutto questo ragionamento si sarà notato uno degli elementi che spesso incute timore e sconforto nella risoluzione di problemi di algebra: l’uso di “artifici”, di invenzioni ad hoc. In questo caso, abbiamo notato che potevamo completare (al-jabr!) il primo membro dell’equazione a un quadrato e, una volta fatto, risolverla facilmente. A essere onesti, questo artificio del “completamento del quadrato” funziona sempre con le equazioni di secondo grado ed era noto in forma geometrica già ai babilonesi dell’epoca di Hammurabi. Ma pare comunque un colpo di genio che a noi comuni mortali non sarebbe venuto in mente.
Tuttavia, a differenza di quanto questo semplice esempio possa farci credere, l’algebrista non è una sorta di artista visionario che passa il tempo a escogitare artifici più o meno geniali, ma uno studioso che applica in modo sistematico metodi matematici, non solo orientati a risolvere equazioni ma anche problemi più generali che si basano sul concetto di simmetria. Oggi, a dispetto del nome, sarebbe scorretto dire che gli algebristi di professione risolvono equazioni, per quanto complicate, per mezzo di rocambolesche e imprevedibili trasformazioni delle equazioni stesse: piuttosto gli algebristi studiano come applicare le simmetrie per risolvere problemi.

Naturalmente non stiamo parlando (solo) delle simmetrie che ci possono venire in mente a prima vista, quelle legate al mondo figurativo per esempio. Sicuramente, lo studio delle simmetrie matematiche ha un’immediata ricaduta sull’arte e l’architettura: basterà ricordare come la teoria che oggi un algebrista chiamerebbe classificazione dei gruppi delle rotazioni nel piano fu sostanzialmente determinata da Leonardo da Vinci nel tentativo di capire come sistemare cappelle e nicchie in un edificio senza turbarne la simmetria, che era una delle caratteristiche che concorrevano, nell’immaginario rinascimentale e non solo, alla bellezza architettonica, pittorica e artistica in generale. Ma le simmetrie che interessano l’algebra moderna sono astratte e riguardano le strutture che sono alla base di molte teorie matematiche: alcune si possono rappresentare geometricamente, altre no. Ma l’idea che le simmetrie possano essere usate per risolvere problemi è centrale nel pensiero algebrico contemporaneo.

Questa idea si affermò inizialmente nella seconda metà del Settecento con le ricerche algebriche di Lagrange e, qualche decennio dopo, in modo grandioso e innovativo, con l’opera di Évariste Galois che a quindici anni lesse Lagrange e in poco tempo capì come risolvere la plurisecolare questione della risolubilità per radicali di una equazione algebrica proprio esprimendone la risolubilità in termini delle simmetrie delle sue soluzioni. Galois morì in duello a soli vent’anni, ma nel corso dell’Ottocento grandi matematici, come il norvegese Sophus Lie e il tedesco Felix Klein, allargarono questo studio del concetto di simmetria estendendone il dominio dall’algebra all’analisi e alla geometria (per esempio, applicando le simmetrie allo studio di equazioni differenziali e di superfici negli spazi di dimensione qualsiasi) fino a che la geniale matematica Emmy Noether, nella prima metà del XX secolo, non formulò la versione corrente dell’algebra, che pone il concetto di simmetria al centro della scena. Noether applicò queste idee anche alla fisica, dimostrando uno dei teoremi fondamentali della meccanica moderna, che porta il suo nome (laddove in molte altre occasioni il suo contributo e quello di altre matematiche è stato misconosciuto) e che consente di associare a ciascuna simmetria di un sistema fisico una legge di conservazione. Ma come si riconnette l’algebra delle scuole medie (che è poi sostanzialmente quella degli arabi medievali e degli italiani rinascimentali) con tutto questo? Torniamo a considerare un’equazione algebrica, per esempio la nostra y2+2y+2=12. Era ben noto, prima di Lagrange e Galois, che un’equazione quadratica ha al più due soluzioni (una di terzo grado, cioè in cui la massima potenza dell’incognita che figura è y3, ne ha al più tre e così via). È anche noto che le soluzioni di un’equazione algebrica possono essere complesse: con questo i matematici intendono che le soluzioni sono rappresentate dai punti del piano cartesiano. Nel caso dell’equazione di secondo grado, sempre grattando in fondo ai nostri ricordi scolastici, forse esce fuori la filastrocca: “Se il discriminante è positivo le soluzioni sono reali e distinte, se è nullo sono reali e coincidenti, se è negativo sono complesse e coniugate”. Questo vuol dire che le possibili configurazioni di soluzioni sono, per esempio, quelle mostrate nelle figure in basso della pagina accanto. Notiamo che le radici reali sono sull’asse orizzontale delle ascisse, mentre le due radici complesse coniugate sono due punti non sull’asse delle ascisse ma disposti lungo una retta verticale e tali che, riflettendo l’uno attraverso l’asse delle ascisse, si ottenga l’altro: i due punti sono sulla stessa verticale e hanno la stessa distanza dall’asse delle ascisse ma uno gli sta sopra e l’altro sotto. Questa configurazione delle radici soggiace a una simmetria, cioè si specchiano l’una nell’altra attraverso l’asse delle ascisse, un po’ come Narciso e il suo riflesso nello stagno.

Proviamo a disegnare le soluzioni y dell’equazione quadratica legata al problema di Bombelli: sono reali e distinte, quindi due punti sull’asse delle ascisse collocati a distanza diversa dall’origine. Le due soluzioni possiedono però una simmetria data dal fatto che si possono scambiare fra loro specchiando i punti del piano attraverso l’asse verticale che passa per il punto (-1,0). Questa è la simmetria che consente di risolvere l’equazione con il metodo che abbiamo usato noi: geometricamente vuol dire determinare l’asse verticale di simmetria, il che consente di ridurre l’equazione al quadrato di un’equazione lineare, in cui l’incognita figura solo alla prima potenza. Pertanto, la manipolazione algebrica che abbiamo fatto dell’equazione per risolverla non è una illuminazione calata non si sa bene da dove ma l’osservazione di una simmetria nel problema, cioè l’essere le soluzioni simmetriche rispetto all’asse verticale passante per il punto (-1,0) del piano cartesiano, che ci consente di trasformarlo in modo da renderlo più semplice fino a risolverlo. Questo non sempre è possibile e infatti, nel caso di una equazione di grado qualsiasi, diciamo n, le soluzioni sono n punti del piano e le possibili simmetrie sono molte di più: la struttura di queste simmetrie, cioè quello che si dice il gruppo di Galois dell’equazione, determina l’esistenza o meno di una formula risolutiva per radicali, come mostrò Galois. In generale, dal quinto grado in su esistono sempre equazioni non risolubili con una formula che comprenda solo le quattro operazioni e le estrazioni di radice. Qui l’algebra cede il passo o meglio chiede aiuto alla geometria e all’analisi (per esempio, le equazioni algebriche sono sempre risolubili per mezzo di funzioni ellittiche).

Ma, in ogni caso, il mestiere dell’algebrista è di cogliere le simmetrie degli oggetti matematici e di usarle per studiarli e spiegarli: in questo si applica una buona dose di tecnica algebrica, ma anche molta creatività che consiste nel guardare a questi oggetti provando a immaginarli sotto vari punti di vista e, in qualche modo, a contemplarne la bellezza, esattamente come facciamo quando guardiamo un’opera architettonica o figurativa o quando ascoltiamo un brano musicale. Messa così, risulta difficile capire a questo punto come sia possibile non voler fare questo mestiere…

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