Scriveva Edgar Morin che la scuola non deve preoccuparsi di produrre teste piene, ma teste ben fatte. Questa convinzione è spesso stata evocata da chi sostiene che l’affollamento di discipline e la pesantezza dei quadri orari non vadano nella direzione della qualità della scuola. Ma sembra che una ineluttabile tendenza ad aggiungere e le immancabili levate di scudi quando si ipotizza di togliere qualche disciplina producano comunque una costante proliferazione, anche grazie ai margini decisionali delle autonomie scolastiche, sempre utilizzati per allargare e mai per asciugare gli orari scolastici.
Il risultato sono mattinate infernali da 6 o anche 7 ore, in cui neanche il principio di relatività può spiegare il fenomeno di un’ora di lezione che dura 50 o anche 45 minuti. Ma il monte ore annuale nominalmente è lo
stesso e le indicazioni sui programmi rimangono invariate.
La sfida si fa ancora più avvincente quando il Ministero sperimenta un’altra contrazione temporale infilando ulteriori percorsi nell’apparentemente incomprimibile tempo-scuola. Le lezioni non sembrano più entità discrete, fra una e l’altra ce ne stanno sempre altre, come i numeri reali nel continuo. Serve l’educazione civica? Certo che serve. Ma l’agenda dei poveri ragazzi è satura. Come si fa? Si obbliga ogni classe a fare almeno 33 ore, cioè in media una a settimana, ma senza un proprio orario. E l’alternanza scuola-lavoro (oggi Pcto)? Minimo 90 ore nei licei, se no niente maturità, e il modo di sistemarle alla fine si trova. L’Europa ci concede i fondi del Pnrr ma vuole che riduciamo la dispersione scolastica facendo orientamento? Obbligo di 30 ore annue di orientamento. E via con l’overbooking, rivendendo due o tre volte lo stesso stock di tempo sotto nomi diversi.
Gli insegnanti, che non sempre sono maghi, si inventano risposte procedurali-burocratiche mettendo diversi cappelli alle stesse lezioni. Conosco una geniale insegnante di italiano che ha messo, capitolo dopo capitolo, le lezioni fatte sul Principe di Machiavelli nel computo dell’educazione civica, oltre che nel programma di letteratura. Peccato che non abbia pensato di metterle in nota anche come orientamento, nell’ipotesi che qualche ragazzo avesse voluto vagliare, leggendo il grande Niccolò, la propria vocazione professionale a diventare ministro dell’Istruzione.
Leggete questa e le altre nostre rubriche sul Prisma ancora in edicola e disponibile anche in pdf!