Il termometro della politica. Tra scienza e propaganda

C’è una foto iconica del 1948 che ritrae Harry Truman appena rieletto presidente degli Stati Uniti d’America. Con un sorriso a metà tra il beffardo e il compiaciuto, il leader democratico esibisce la prima pagina del Chicago Daily Tribune e il suo titolo a nove colonne: Dewey defeats Truman (Dewey sconfigge Truman). Una frase clamorosamente smentita dai fatti.

Era successo infatti che i sondaggi principali avessero dato per certa la sconfitta di Truman e l’elezione del repubblicano Dewey. Un flop destinato a rimanere nella storia come quello del 2016 quando l’ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca, contro la super favorita Hillary Clinton, sorprese la maggior parte degli istituti di ricerca.

Ma al di là di qualche previsione fallace, quando un sondaggio può dirsi autorevole? “La scientificità di un sondaggio – risponde Paolo Natale, professore di Metodologia della ricerca sociale all’università statale di Milano – si basa innanzitutto sulla scelta di un campione probabilistico, selezionato in modo casuale. Il campione di un sondaggio è l’insieme delle unità statistiche oggetto della ricerca, ovvero i soggetti interpellati”. Nel caso dei sondaggi politici, l’obiettivo è quello di rendere il campione rappresentativo dell’intero elettorato attraverso un campionamento probabilistico di tipo “stratificato” che suddivide l’intera popolazione di riferimento in strati in base a determinate caratteristiche (residenza in quartieri centrali o periferici, età, titolo di studio, classe sociale ecc.). Da ogni strato si estraggono a sorte le unità statistiche oggetto del sondaggio con un campionamento casuale semplice, che prevede che ognuna di queste unità abbia uguale probabilità di essere estratta. “Il campionamento stratificato riesce maggiormente a tenere sotto controllo la variabilità e l’errore di campionamento. In questo è centrale anche la grandezza del campione selezionato: più è ampio, minore sarà il margine di errore”, ribadisce il professor Natale.

La successiva raccolta dei dati può avvenire in vari modi: la metodologia telefonica Cati è la più usata per i sondaggi politici. Dopo, entra in gioco un terzo fattore di scientificità: la ponderazione. “È un’operazione statistica che ha il compito di assorbire, attraverso operazioni e algoritmi, i cosiddetti bias o errori di campionamento del sondaggio e raggiungere così risultati più rappresentativi del target di riferimento”. In questa operazione, ad aiutare il sondaggista possono esserci anche le cosiddette domande-filtro, come quelle che riguardano il voto reale espresso nelle precedenti elezioni: “Se per esempio un partito votato dal 30% degli elettori nelle tornate precedenti risulta essere stato scelto solo dal 15% del nostro campione, allora dobbiamo ponderare i nostri risultati finali su quel dato reale”, spiega ancora il professor Natale. Il margine di errore è sempre presente in un sondaggio. È la cosiddetta “forchetta”, quell’oscillazione del 2 o del 3% che ogni sondaggio dovrebbe specificare nelle note metodologiche. Ovviamente, oltre all’errore campionario, un sondaggio deve prestare attenzione anche a quello non campionario, che può riguardare errori di misura, di rilevazione, di elaborazione o di calcolo.

A queste fonti di errore, si aggiungono poi altri bias. Tra questi, determinante è il tasso di non risposta. Secondo Fabrizio Pregliasco, che è direttore di YouTrend e docente di Informazione e Big Data all’università di Bologna, “il cosiddetto non-response rate è un fenomeno crescente soprattutto negli ultimi anni. Nella metodologia di raccolta dati Cati è sempre più frequente il rifiuto da parte dei cittadini interpellati di rispondere alle domande e questo ovviamente rappresenta un elemento distorsivo di non poco conto”.
Come sottolineato dal report 2020 dell’Aapor (American association for public opinion research), questo atteggiamento si è presentato in maniera rilevante anche nelle ultime elezioni americane. Secondo il data scientist e consulente politico americano David Shor, ci sarebbe stata una precisa correlazione tra il numero di non rispondenti ai sondaggi e gli elettori di Donald Trump, caratterizzati da una maggiore sfiducia nei confronti della politica. Questo avrebbe portato a una sovrastima del distacco di consenso tra Biden e Trump.

Il bias di non risposta si lega anche a quello della desiderabilità sociale delle risposte, che induce le persone a non dichiarare il proprio voto reale se percepito come impopolare (si pensi alle posizioni più razziste o più estremiste). “Il bias della non risposta e quello della desiderabilità sociale rappresentano un problema rilevante in fase ponderazione – spiega Pregliasco – Ecco perché si deve porre attenzione anche alle domande. Il linguaggio scelto potrebbe influenzare le risposte. Un esempio? Parlando di diritto di cittadinanza è stato notato che, se nella domanda si citano le parole “ius soli”, il campione tende a polarizzarsi molto di più rispetto a quanto accade se la formula non viene menzionata direttamente”.

Persino l’ordine delle domande può influenzare le risposte raccolte da un sondaggio. “Ecco perché in molte ricerche si divide il campione in due parti a cui le domande vengono poste in ordine inverso”. Un illustre studioso della scienza politica come Giovanni Sartori già nei primi anni Duemila aveva parlato di sondocrazia per sottolineare la centralità nella politica dei sondaggi, spesso usati con fini di propaganda per sfruttare il noto effetto bandwagon, ovvero l’effetto sociologico che induce l’opinione pubblica a preferire i partiti o le soluzioni percepite come vincenti. “I sondaggi, pur con i loro limiti intrinsechi – commenta Lorenzo Pregliasco – sono una risorsa per le nostre società perché riescono a rappresentare le tendenze delle opinioni pubbliche e permettono ai decisori di farsi un’idea di come la pensano effettivamente cittadini ed elettori”.

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