Un giornalista romano che era stato allievo di Carmelo Bene racconta che, tra i tanti crucci che affliggevano l’artista, c’era anche quello relativo all’organizzazione della nostra società. Secondo l’intellettuale pugliese, si sarebbe dovuta ribaltare del tutto la scansione temporale della nostra vita: avremmo dovuto cioè avere del tempo libero fino ai 40/50 anni, quando il nostro corpo è al massimo delle forze, e poi dedicarci allo studio e alle attività intellettuali. Così facendo, il bagaglio delle esperienze del vissuto avrebbe arricchito l’apprendimento conoscitivo.
Una teoria affascinante che, in qualche maniera, ci riporta alla storia di copertina di questo mese. Non sappiamo se il modello ipotizzato da Bene prima o poi troverà un’applicazione pratica. Quello che è certo è che la nostra società si sta sempre più spostando avanti. Quello che per lungo tempo era visto come un risultato della scienza, ossia il raggiungimento della longevità, di recente viene percepito con una punta di preoccupazione. E non senza ragione.
Perché l’Italia raccontata dagli ultimi dati Istat è un Paese con una popolazione sempre più vecchia, in costante calo demografico e con un’età media sempre più alta. Il nostro Paese è da tempo tra i più longevi al mondo, con una quota di popolazione anziana superiore a quella di tutti i Paesi dell’Unione europea: gli over 80 nel 2021 sono il 7,6% a fronte del 6,0% della media Ue27.
Sono però dati che si prestano anche a una lettura costruttiva. L’aumento della longevità mette a disposizione un piccolo tesoro di capitale sociale che attualmente sta compensando alcune criticità, come la disoccupazione giovanile o i problemi di conciliazione lavoro-famiglia. A fronte di un crescente bisogno di assistenza, emergono quote sempre maggiori di persone anziane autonome e attive che stanno ampliando gli spazi di solidarietà tra le generazioni.
Sulle persone in età matura, dunque, si sta spostando sempre più l’onere, non solo di mantenersi attive più a lungo di prima, ma anche quello di saper diventare protagoniste dei processi di cambiamento e d’innovazione.
Si tratta di questioni strutturali e di lungo periodo, fuori dall’orizzonte che politici e governi ritengono di dover affrontare. Ma sono allo stesso tempo nodi che stanno venendo al pettine tutti insieme.
Per affrontarli, vanno create le condizioni per stabilire un patto tra le generazioni al fine di ridisegnare un futuro del Paese che non potrà essere più costruito soltanto su un ricambio generazionale. In questo processo, ai giovani devono essere fornite le capacità, l’allenamento e il passo giusto per sostenere una sfida del genere.
Perché, come diceva Catone il censore, “raramente la saggezza è frutto solo della vecchiaia”.
Buona lettura!
Vincenzo Mulè
Direttore responsabile