Per riordinare i pensieri, ho riletto In questa grande epoca in cui, nel novembre 1914, Karl Kraus condanna il conformismo di tanti intellettuali alla retorica militarista. “Und was ehedem paradox war, wird nun durch die große Zeit bestätigt” (“Ciò che un tempo era un paradosso è ora confermato da questa grande epoca”), ironizza amaramente, parafrasando i versi di Amleto rivolti alla disperata Ofelia (III-1 vv. 115-116): “This was sometimes a paradox, but now the time gives it proof”. Sono epoche, quelle di Amleto e Kraus, “in cui accadono cose che nessuno aveva immaginato… né riesce a immaginare, perché se ci riuscisse non accadrebbero”. Ma, Amleto e Kraus stanno parlando anche della nostra epoca!
Siamo coinvolti da mesi in una guerra crudele, che da ambo le parti alcuni chiamano giusta, ma sul sito di un’importante azienda a capitale pubblico italiana si legge il trionfalistico messaggio: “Costruire unità militari, con performance sempre più sfidanti … è oggi più impegnativo che mai. Noi lo facciamo da più di 230 anni, nel corso dei quali abbiamo consegnato oltre 2.000 unità … veri e propri gioielli di alta tecnologia …”.
Il fumo delle nostre centrali è di nuovo quello del carbone, ma le conferenze sulla crisi climatica, che dovrebbero richiamare tutti i governi del mondo a maggiore responsabilità verso le generazioni che verranno, sono ospitate da governi che calpestano i diritti civili dei propri giovani.
Nel Consiglio regionale, dove oppongo il mio futile impegno, si inaspriscono i criteri economici per i ricongiungimenti familiari di lavoratori stranieri regolari. Però, ci va bene che il nostro Pil derivi anche dal lavoro di chi è costretto a svolgerlo in condizioni tanto miserabili da essere privato del diritto di vivere con i propri cari e proprio presso quelle imprese che producono armi anche per quei governi che, per comperarle, affamano i loro popoli costringendoli a migrare.
Risorgono falsi miti sul merito legittimati fallacemente invertendo l’ordine degli articoli, ovvero l’Art. 34 prima dell’Art. 3. Ma l’ascensore sociale della scuola è sempre più lento e decelera ulteriormente man mano che si va verso Sud.
Proclami vergognosi alimentano nelle nostre periferie la tremenda guerra tra poveri. Viene messo in discussione anche un reddito minimo per chi è stato irrimediabilmente espulso dal mondo del lavoro e si esalta l’autonomia differenziata che rimetterà le gabbie tra le regioni.
In queste grandi epoche, nelle quali “il mezzo consuma il fine, regna la mancanza di fantasia e l’uomo muore di carestia spirituale”, accade ciò che non è immaginabile perché si parla per luoghi comuni azzerando con superficialità ogni complessità nel mondo. La parola non è più strumento dell’immaginazione, altrimenti queste cose non accadrebbero.
Kraus nel 1914 rifiuta la parola dominante e ci sfida con un altro paradosso, che umilmente faccio mio: “Non aspettatevi da me nemmeno una parola se non questa, che evita che il mio tacere sia travisato”.
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