Il teorema dell’eterno ritorno

Nell’estate del 1881 Friedrich Nietzsche, nel suo pellegrinare fra Francia, Italia e Svizzera, si trovava a camminare per un bosco dell’Engadina. Era sul sentiero che congiungeva (e congiunge) Sils-Maria a Silvaplana, nei pressi di Surlei. Come lui stesso ricorda nella sua opera autobiografica Ecce Homo (1888), si sedette per riposare ai piedi di una roccia piramidale e lì fu come folgorato da una illuminazione.

Poiché smisurato e grande, forse al di là di ogni immaginazione, ma certamente finito è il numero degli elementi di cui consta il mondo, ed essendo invece infinita la durata del tempo, questi elementi (che non si creano né si distruggono) si combinano continuamente fra loro e finiranno, in un tempo lunghissimo ma finito, per riassumere esattamente la stessa configurazione che hanno ora. Ogni istante è destinato a ripetersi prima o poi. Non solo: dato che il tempo si estende indefinitamente nel passato e nel futuro, questo stesso istante si è ripetuto infinite volte e infinite volte si ripeterà. Ogni istante è quindi in un certo senso eterno e non c’è possibilità di cambiare ciò che è stato, sarà e che ciecamente è destinato a ripetersi.
Il concetto dell’eterno ritorno è radicato in molte culture antiche a partire da quella greca, che Nietzsche conosceva molto bene in quanto era stato professore di filologia a Basilea, comunque la sua idea si basa su tre presupposti: l’eternità del tempo che si estende infinitamente nel passato e nel futuro; l’incorruttibilità degli elementi che compongono il mondo e, infine, la finitezza del mondo (non tanto dello spazio quanto di ciò che riempie lo spazio).
Erano idee mediate in parte dal suo bagaglio filologico e in parte dalle sue letture scientifiche e sono assunte come “assiomi”. Il suo argomento per l’eterno ritorno è matematicamente sensato e si può ricondurre al fatto che, se f: X → Y è una funzione fra gli insiemi X e Y, con X infinito e Y finito, allora f non può essere biunivoca, cioè non può far corrispondere ciascun elemento di X a un solo elemento di Y. Per esempio, una qualsiasi funzione dall’insieme infinito N = {0, 1, 2, 3, …, 1000, …} nell’insieme {0, 1} è destinata ad associare infiniti numeri a 0 oppure a 1. Per formalizzare il ragionamento di Nietzsche osserviamo che se il mondo è finito ne consegue non solo che il numero delle cose è finito ma lo è anche il numero delle loro combinazioni possibili: infatti, dati n oggetti, anche per n smisurato, tutte le combinazioni di questi oggetti sono comunque in un numero finito, per quanto straordinariamente grande. Possiamo quindi applicare l’osservazione precedente all’insieme X di tutti gli infiniti istanti del tempo e all’insieme finito Y di tutte le combinazioni di tutte le cose possibili e dedurne che a ciascuna possibile combinazione di ogni cosa sono associati infiniti istanti. L’idea di Nietzsche, che in qualche senso inaugura la sua brevissima carriera di filosofo, si basava su presupposti che già alla sua epoca stavano vacillando. E a farli vacillare fu una figura gigantesca e tragica che ha molte cose in comune con il filosofo prussiano: Ludwig Boltzmann, che era nato nel 1844, lo stesso anno di Nietzsche, ma a Vienna.

Boltzmann è stato uno dei massimi fisici di ogni tempo e uno dei più originali. La sua vita fu tormentata da malanni fisici e psichici, esattamente come accadde a Nietzsche la cui salute malferma (a partire dall’acuta miopia) lo aveva portato ad abbandonare il posto di docente a Basilea e il cui tracollo torinese lo condurrà nel 1888 al manicomio. Anche Boltzmann ha sempre sofferto di una salute precaria: una vista negli ultimi anni quasi assente, asma, continui mal di testa e i sintomi di quella che oggi definiremmo una sindrome bipolare. Se la malattia mentale condusse Nietzsche a uno stato vegetativo fino alla morte nel 1900, il disagio mentale indurrà Boltzmann a suicidarsi nel 1906 nei pressi di Trieste. Se Nietzsche in vita non ebbe riconoscimento alcuno per la sua opera e fu costretto a stampare in proprio i suoi lavori, Boltzmann fu vittima di un generale scetticismo per le sue geniali teorie. Per spiegare i fenomeni termodinamici, aveva capito che era necessario ricorrere alla teoria atomica che però in quell’epoca era ancora sbeffeggiata dai filosofi e osteggiata dai fisici. Gli attacchi subiti e le difficoltà legate a questo suo andare controcorrente pesarono sicuramente sul suo gesto estremo.

Nietzsche si espresse contro la teoria atomica ritenendola una proiezione umana inventata per poter modellizzare matematicamente la natura, sebbene nella teoria dell’eterno ritorno assumesse il precedente terzo assioma. La fisica su cui si basava era quella di Lavoisier, che implicava l’incorruttibilità delle cose: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Inoltre, nel suo ragionamento Nietzsche assumeva implicitamente un quarto assioma dopo i tre precedenti: tutte le combinazioni degli elementi che compongono il mondo sono equiprobabili. È qui che Boltzmann interviene scrivendo una bellissima equazione che cattura la natura irreversibile dei fenomeni termodinamici: S=k logW. La sua profondità le ha meritato di essere incisa come epitaffio sulla tomba del suo scopritore. Concentriamoci sul membro destro dell’equazione: k logW. Il fattore k è una costante universale, la costante di Boltzmann, che sostanzialmente fornisce un valore medio per l’energia di un gas a una certa temperatura; il logaritmo è invece applicato a un termine W che è il numero di stati possibili del sistema in esame, quindi il numero inimmaginabile ma finito di elementi atomici di cui parlava il secondo assioma di Nietzsche. Questi stati sono tutti equiprobabili. Il risultato S della moltiplicazione k logW è quello che i fisici chiamano entropia, cioè la misura del disordine di un sistema: questa interpretazione è legata al fatto che la stragrande maggioranza degli stati (cioè delle combinazioni di elementi) di un sistema ci pare casuale e non ordinata. Per esempio, preso un mazzo di carte francesi, il numero di possibili combinazioni (cioè i possibili mazzi che se ne possono formare) è circa 8 seguito da 67 zeri! Eppure, di queste innumerevoli combinazioni solo poche sono per noi “ordinate”, tutte le altre le consideriamo “casuali”.

L’entropia è soggetta a una legge, chiamata il secondo principio della termodinamica, secondo la quale, nei sistemi fisici reali, il valore di S con il tempo non può diminuire ma anzi, a ogni trasformazione irreversibile, aumenta. Infatti, non solo a livello macroscopico ma anche a livello microscopico, i sistemi naturali mutano in modo irreversibile, non possono cioè più tornare allo stato che avevano in precedenza. Pertanto il secondo principio della termodinamica implica che l’eterno ritorno non sia più tale: le cose potranno rimescolarsi ma non saranno mai come prima; non si potrà tornare a una situazione di ordine pregresso, perché l’entropia non può diminuire. Anche se il tempo è infinito nel passato e nel futuro, gli stati dell’universo tenderanno quindi in un tempo finito alla massima entropia e a quel punto non ci sarà più movimento né altro: le cose non sono destinate a tornare eternamente, ma a spegnersi nel freddo di una morte entropica universale.

L’idea di un mondo che, nel suo muoversi cieco e frenetico, tende al disordine sarebbe forse piaciuta a Nietzsche e chissà come sarebbe stata la sua filosofia se fosse partita da questi presupposti anziché dall’eterno ritorno. Ma lui e Boltzmann morirono negli stessi anni, il primo inconsapevole di queste nuove acquisizioni, il secondo tormentato perché convinto, contro tutto e contro tutti, della loro veridicità.

La storia dell’eterno ritorno in matematica e fisica non finisce qui. Per uno di quegli scherzi che solo il caso è in grado di giocare, un altro grande pensatore coevo di Nietzsche e di Boltzmann, Henri Poincaré, un gigante della matematica a cavallo dei due secoli, ha formulato un teorema che in qualche modo è collegato all’eterno ritorno e che riguarda proprio il secondo dei tre assiomi che abbiamo più sopra enunciato.

Poincaré era interessato alle applicazioni della matematica alla fisica e in particolare alla meccanica celeste, cioè al moto degli astri. Nel 1890, studiando il problema dei tre corpi, Poincaré formulò il suo celebre “teorema del ritorno”, una cui dimostrazione rigorosa sarà data solo dopo l’avvento della teoria della misura di Lebesgue. Questo problema riguarda la determinazione delle orbite che tre corpi celesti (per esempio: Sole, Terra e Luna) compiono per l’effetto delle reciproche attrazioni gravitazionali dovute alla legge di Newton. Si tratta di un problema formidabilmente difficile e Poincaré sostanzialmente ha mostrato che non è possibile risolverlo in modo esatto, cioè integrando completamente le equazioni del moto che lo descrivono.

Un’equazione differenziale descrive una traiettoria in termini di come varia la velocità di un corpo sotto l’influenza delle forze che agiscono su di esso e dà sempre luogo a un “flusso”, cioè a una funzione f: X → X dall’insieme X dei parametri dai quali dipende l’equazione (lo spazio delle fasi) in sé stesso. Se il sistema dinamico descritto dall’equazione differenziale è conservativo (vale cioè il teorema di conservazione dell’energia), allora Poincaré ha dimostrato, sotto alcune ipotesi tecniche, che qualsiasi traiettoria del moto descritto dall’equazione ripasserà prima o poi in un punto che ha già percorso. Per fare un esempio: supponiamo di avere una casa con due stanze comunicanti ma sigillate rispetto al mondo esterno. Supponiamo che fra le due stanze ci sia una porta chiusa e che nella prima stanza ci sia aria e nella seconda il vuoto. Aprendo la porta, l’aria popolerà anche la seconda stanza ma, a lungo andare, per il teorema del ritorno di Poincaré la prima stanza tornerà a essere piena e la seconda assolutamente vuota (il motivo per cui non abbiamo mai osservato questa situazione è che il tempo richiesto dal teorema del ritorno in questo caso travalica numerose volte la vita stimata dell’universo). È interessante notare come il teorema del ritorno abbia legami con la cosiddetta ipotesi ergodica, portata avanti proprio da Boltzmann in quegli anni, per la quale sostanzialmente, nel lungo periodo, una particella in un gas occupa in media gli stessi spazi disponibili lo stesso numero di volte.

Ma ancora più interessante è constatare questa fuga intellettuale fin de siècle di tre grandi pensatori che, nel giro di pochi anni e come se fossero sotto l’effetto di qualche misterioso Zeitgeist, hanno formulato, smentito e riformulato la teoria dell’eterno ritorno in termini filosofici, fisici e matematici.

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