Il 31 gennaio 1981 moriva Leonardo Sinisgalli, uno degli intellettuali italiani più rappresentativi del Novecento. Noto soprattutto come poeta, è considerato “uomo delle due culture” e chiamato spesso il poeta-ingegnere essendo laureato in ingegneria e avendo lavorato al servizio della grande industria italiana. Nato nel 1908 a Montemurro, paesino lucano nella “dolce valle dell’Agri”, trascorre la giovinezza attratto dal lavoro degli artigiani e si appassiona alla poesia e alla matematica: “Non riuscivo proprio a vederci chiaro nella mia vocazione. Mi pareva di avere due teste”, scriverà ricordando la sua infanzia. Decide di iscriversi al corso di laurea in Matematica a Roma, per poi passare a Ingegneria e laurearsi nel 1931. Nel periodo romano frequenta le lezioni di un gruppo eccellente di docenti: Guido Castelnuovo, Tullio Levi-Civita, Enrico Fermi, Francesco Severi e il giovane Luigi Fantappié (allora assistente di Severi). Ma continua anche a frequentare poeti e pittori, sia durante gli studi universitari sia dopo la laurea quando si trasferisce a Milano dove entra in contatto con un gruppo di architetti e urbanisti che offrono un terreno di confronto per poeti, filosofi e pittori che immaginano nuovi stili di vita e una diversa società. Dopo un breve periodo in Umbria nella Società del Linoleum, viene assunto dalla Olivetti a Milano. Sinisgalli, sempre bravo a raccontare le proprie vicende, riporta l’evento con queste parole: “Un pomeriggio di estate del 1936 mi presentai all’ingegnere Adriano Olivetti che mi aveva chiamato per un colloquio, nel suo ufficio di via Clerici. Gli portavo il mio “Quaderno di Geometria” in un estratto della rivista “Campo Grafico” […e] qualche poesia della prima stagione che Ungaretti aveva citate. I versi “trascendentali” (l’aggettivo è di Gianfranco Contini) e i miei primi assaggi di matematica bastarono all’ingegnere Adriano per propormi la direzione del suo Ufficio Tecnico di Pubblicità. Designazione a quei tempi ambitissima”. L’incarico diventa un trampolino di lancio verso la grande industria: dalla Pirelli alla Finmeccanica (dove fonda e dirige le rispettive riviste aziendali Pirelli e Civiltà delle macchine) fino all’Eni di Mattei, la Bassetti, l’Alitalia. Nel contempo, Sinisgalli è anche ideatore e conduttore del primo programma culturale di successo della Rai, Il teatro dell’usignolo, in cui abbina poesia e musica. Si cimenta poi come documentarista, vincendo per due volte il Leone d’argento alla mostra del cinema di Venezia; si occupa di pubblicità proponendo alcuni degli slogan che hanno caratterizzato i prodotti dell’industria italiana, dalla celebre rosa nel calamaio come simbolo delle macchine per scrivere Olivetti agli slogan “Camminate Pirelli” e “Giulia, l’ha disegnata il vento”. Diventa critico d’arte e pittore; cura edizioni d’arte e organizza importanti mostre. Si distingue inoltre per i suoi scritti di architettura e urbanistica sulle maggiori riviste di settore. È un’icona dell’industria italiana negli anni del miracolo economico in quanto, attraverso le sue riviste e campagne pubblicitarie, diffonde quel magico e fecondo connubio fra letteratura, arte, produzione, scienza e design che contribuirà a creare una nuova estetica e una poetica per la transizione dell’Italia da realtà agricola a potenza industriale. Unendo tradizione e innovazione, arte e scienza, poesia e tecnologia, realtà e immaginazione, sogno e utopia, favorisce la ripartenza di una nazione che era rimasta bloccata dagli anni del fascismo e che doveva risollevarsi da una rovinosa guerra.
Ma come si conciliano le due grandi passioni di Sinisgalli, matematica e poesia, con la sua attività nell’industria? Per capirlo basta leggere alcuni passi dai suoi scritti. Ad esempio, quando arriva a lavorare presso la Società del Linoleum: “Ho trascorso alcuni giorni di questa ultima primavera in un paese dell’Umbria per farmi un’esperienza di fabbrica: quando gli operai avevano abbandonato i reparti mi piaceva andare a trovare le macchine in riposo, coglierle nella loro stanchezza”. E ancora: “Io entro in una fabbrica a capo scoperto come si entra in una basilica, e guardo i movimenti degli uomini e dei congegni come si guarda un rito”. Quando immagina di descrivere a un architetto che cos’è la geometria lo fa con queste stupende parole: “La geometria non è una scrittura, ma una catena di metafore, che solo per un miracolo di natura prendono corpo e diventano cristalli. La geometria più che di regole visive, più che di misure, è fatta di ordini, di corrispondenze.” Del resto, così descriveva le lezioni all’Università di Roma: “Il professore apriva il suo rito, proprio come un sacerdote apre la messa; con un segno di croce. Che non era tracciato dalla mano nell’aria e non invocava nessuna presenza divina: erano due solchi di polvere bianca sul buio schermo di ardesia, due assi ortogonali, l’asse delle ascisse e l’asse delle ordinate, che fermavano lo spazio intorno a quella O maiuscola”. Poche volte matematica e poesia si sono trovate così vicine.