Dopo il bosone di Higgs, la famosa “particella di Dio” rilevata nel Large Hadron Collider del Cern di Ginevra nel 2012 e la prima “misura” di un’onda gravitazionale ottenuta con gli interferometri LIGO/VIRGO nel 2015 (poi annunciata al mondo nel febbraio 2016), un altro straordinario risultato ha arricchito nel 2019 il quadro dei grandi successi della fisica dei primi vent’anni del XXI secolo: la prima “fotografia” di un buco nero. È stata ricavata con l’Event Horizon Telescope (Eht), un radiotelescopio virtuale con apertura paragonabile al diametro terrestre, ottenuto facendo lavorare in sinergia otto radiotelescopi in tutto il mondo. Il buco nero in questione ha una massa pari a 6,5 miliardi di volte quella del Sole e si trova a 55 milioni di anni luce da noi, al centro di Messier 87, un’enorme galassia nel vicino ammasso della Vergine. La rilevazione delle onde gravitazionali e la foto del buco nero sono le prove sperimentali delle previsioni teoriche fatte circa cento anni fa da Albert Einstein a proposito delle caratteristiche e del comportamento del tessuto spazio-temporale dell’universo.
Di questa grande scoperta abbiamo parlato con Mariafelicia De Laurentis, docente di astronomia e astrofisica all’Università Federico II di Napoli e ricercatrice dell’Infn nel campo della teoria delle onde gravitazionali. All’interno di Eht, la professoressa De Laurentis ha coordinato il gruppo di analisi teorica dell’esperimento che un anno fa ha portato proprio a quella prima, famosissima, immagine. Per questo risultato, la Albert Einstein Society di Berna le ha assegnato la Medaglia Einstein 2020. Recentemente è stata nominata anche membro del Consiglio scientifico di Eht, con compiti di indirizzo strategico sulle ricerche da condurre.
Che cos’è l’Eht?
È un progetto internazionale nato per studiare l’ambiente circostante a Saggitarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, la nostra galassia, e il buco nero M87 al centro della galassia ellittica supergigante Virgo A, di cui abbiamo dato l’immagine nell’aprile 2019. Eht e il risultato ottenuto rappresentano il culmine di decenni di lavoro tecnico e teorico, un impegno che ha richiesto la stretta collaborazione di oltre 200 ricercatori di tutto il mondo, guidati da Sheperd Doeleman dell’università di Harvard. L’esperimento si basa sull’interferometria radio a lunga distanza e lavora sulla lunghezza d’onda di 1.3 mm, pari a una frequenza di circa 230 GHz. In effetti, realizza uno strumento del tutto nuovo e con il più alto potere risolutivo angolare mai ottenuto. Per capirci, è un livello di dettaglio tale da leggere la pagina di un giornale di New York stando comodamente seduti in un caffè a Napoli!
Siete riusciti a ottenere la prima immagine di un buco nero. Ma è corretto parlare di foto?
In realtà, è una mappa delle onde radio emesse dal plasma incandescente che orbita attorno al buco nero prima di precipitare dentro l’orizzonte degli eventi. Gli otto radiotelescopi, dislocati in tutto il mondo e che formano Eht, raccolgono onde radio invisibili all’occhio umano ma, se potessimo vederle e riuscissimo ad avvicinarci al buco nero di M87 sintonizzandoci sulla frequenza di 230 GHz, allora vedremmo più o meno l’immagine che abbiamo ottenuto.
Perché questo risultato è così importante?
Tra le previsioni più eccitanti della teoria della gravitazione di Einstein ci sono i buchi neri, oggetti che influenzano l’ambiente circostante in modo estremo distorcendo lo spazio-tempo e surriscaldando qualsiasi materiale intorno. Se un buco nero è immerso in una regione luminosa come un disco di gas incandescente, ci aspettiamo che crei una regione scura simile a un’ombra. È un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein che non avevamo mai potuto osservare direttamente. Quest’ombra, causata dalla curvatura gravitazionale e dal fatto che la luce viene trattenuta dall’orizzonte degli eventi, rivela molto sulla natura di questi affascinanti oggetti e ci ha permesso di misurare l’enorme massa del buco nero di M87. I buchi neri sono un terreno d’indagine perfetto per studiare i campi gravitazionali più intensi e quindi confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate accanto alla relatività generale. Quella di Einstein potrebbe non essere la teoria finale dell’universo, che forse dobbiamo ancora scoprire. C’è poi un motivo sorprendente e inatteso che rende i buchi neri molto importanti: il loro ruolo centrale nella ricerca di una connessione tra la meccanica quantistica e la gravità. Direi, dunque, che i buchi neri sono i migliori candidati per capire come arrivare a una teoria generale che spieghi ciò che ancora non capiamo e che, in fondo, è da secoli l’obiettivo dei fisici: scoprire di che cosa siamo fatti, da dove veniamo e dove stiamo andando.
Come ha reagito quando ha visto per la prima volta il risultato del vostro lavoro?
Mi sono commossa. Per la prima volta abbiamo visto un buco nero, ciò che fino a quel giorno avevamo soltanto intuito attraverso equazioni e simulazioni. Quel giorno era lì, di fronte a noi in tutto il suo splendore! Credo sia stata una delle emozioni più belle della mia vita e anche per i colleghi. È il frutto del lavoro di tutto il nostro gruppo, fatto di sinergia, cooperazione, collaborazione e tanto sacrificio. Posso dire che l’emozione che ho provato è paragonabile alla nascita di un figlio. Le idee sono parte di noi, crescono dentro di noi e si concretizzano attraverso il lavoro di mesi e anni di ricerca: ecco perché la paragono a una nascita.
Per questo risultato siete stati premiati con la Medaglia Einstein…
È un riconoscimento assegnato ogni anno dalla Albert Einstein Society di Berna a scienziati che hanno dato contributi eccezionali in campi affini a quelli in cui si distinse Einstein. In genere, la medaglia viene assegnata a una persona sola (raramente a due) ma questa volta il comitato ha deciso che il premio andasse all’intera collaborazione Eht, a causa delle circostanze che hanno portato allo straordinario risultato. Ne siamo particolarmente orgogliosi, visto che il primo a ricevere questo premio nel 1979 fu Stephen Hawking a cui seguirono Roger Penrose e molte altre eccellenze mondiali della fisica.
Di cosa vi state occupando ora?
Purtroppo, a causa del coronavirus abbiamo dovuto fermare la campagna di osservazioni 2020. Tuttavia il nostro lavoro non si è fermato perché stiamo studiando ancora i dati acquisiti negli anni scorsi. In particolare, siamo focalizzati sull’immagine di Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea, la nostra galassia. Speriamo di stupirvi presto!