Il matematico animato

Ho conosciuto Gian Marco Todesco tanti anni fa, quando era un giovane con molti più capelli ma che camminava correndo come adesso e discuteva con lo stesso gusto di oggi. Veniva a Milano per studiare con Maria Dedò come si potevano portare anche le persone poco esperte di matematica a “vedere” gli oggetti matematici. Uno studiare per il gusto di studiare finché non si è trattato di costruire una mostra sulla presenza della matematica in città e quello studio ha prodotto una lunga serie di animazioni interattive che ha poi vinto il Pirelli INTERNETional Award, uno dei più importanti concorsi internazionali sul multimediale. Oggi è dirigente del dipartimento Ricerca e Sviluppo di una società che progetta e sviluppa software professionali per la realizzazione di cartoni animati. Nei giorni di Covid 19, in cui il tempo sembrava un po’ sospeso ed era più facile trovare il momento per discutere, abbiamo cercato di farci spiegare da dove gli viene questa capacità di passare con naturalezza dal piano teorico a quello delle realizzazioni concrete.

Qual è stata la tua formazione?

Ho studiato fisica all’università di Bologna ma subito dopo il biennio ho capito che quello che mi piaceva realmente era giocare con i calcolatori. Allora ho cominciato a cercare gruppi di fisici impegnati in progetti di natura informatica. Il mio relatore, il professore Ettore Remiddi, collaborava con il gruppo Ape: un progetto speciale dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) guidato da Nicola Cabibbo e Giorgio Parisi con l’obiettivo di progettare e costruire un computer dedicato alle teorie di gauge su reticolo, un tipo di teorie che richiedono molta potenza di calcolo. Così tanta che il calcolatore commerciale più veloce al mondo di quel tempo, il Cray-1, non era in grado di ottenere dei risultati in tempi accettabili.

E voi, come siete usciti da questa situazione?

Cabibbo e Parisi decisero, con grande audacia, di provare a costruire un computer specializzato, particolarmente veloce per questo tipo di problemi anche se complessivamente più lento nel caso generale. Anche altri gruppi di fisici nel mondo avevano deciso di provare questa strada, in una sorta di gara internazionale su chi sarebbe riuscito a realizzare il computer più veloce per questo tipo ristretto di applicazioni. Fare il confronto fra le prestazioni di computer non standard è molto difficile, ma mi piace pensare che per un certo tempo Ape sia stato il computer più veloce del mondo nel suo campo specifico.

Che ricordi hai di quel periodo?

Una caratteristica straordinaria del progetto è stato lo spazio e l’indipendenza che fu lasciata a noi “giovani”: gli studenti, i laureandi, i neolaureati, i dottorandi ecc.. Io lavoravo sul software e ho contribuito all’invenzione del linguaggio “TAO” con cui i fisici programmavano Ape. È stata un’esperienza davvero straordinaria. Alla fine mi sono allontanato, con grande fatica, dall’Infn per un nuovo amore: i cartoni animati.

Però sei diventato un informatico…

È vero. Mi sono laureato in fisica ma mi sento profondamente un informatico. D’altra parte, l’informatica è una vasta disciplina che copre aspetti molto diversi: dalle formalizzazioni teoriche più astratte alle tecniche proprie dell’industria che permettono di sviluppare e manutenere software da milioni di linee di codice. Per me è l’arte di creare programmi per computer. Si tratta di una disciplina immensamente creativa che richiede in eguale misura fantasia e concentrazione. Penso che sia un’attività molto stimolante anche quando è slegata dall’utilizzo concreto: programmare insegna ad avere attenzione per le parole, ad osservare le proprie idee per riuscire a catturarne la struttura, a comunicare con le altre persone in modo preciso e il meno ambiguo possibile. Dal punto di vista ludico, è un gioco molto simile al Lego e può dare lo stesso tipo di piacere.

Qualcuno dice che sei un uomo da Oscar…

Mi sembra decisamente esagerato attribuirmi un Oscar! Certamente sono molto orgoglioso che il film La città incantata di Hayao Miyazaki (Oscar 2003 come miglior film animato) sia stato fatto utilizzando un mio programma. Lo Studio Ghibli di Miyazaki è stato il nostro cliente più prestigioso: dopo il film La principessa Mononoke (1997) ha adottato Toonz, il nostro software, per realizzare tutti i suoi cartoni animati. Prima la produzione era interamente manuale. Anche l’ultimo lungometraggio firmato da Miyazaki, lo splendido Si alza il vento (2013), è stato realizzato interamente con Toonz.

Ma che cosa c’entra l’informatica con i cartoni animati?
Le persone hanno l’idea che il computer serva principalmente per alleviare il micidiale carico di lavoro degli animatori e sia in grado di creare autonomamente i disegni intermedi fra i fotogrammi chiave. Questa interpretazione è sbagliata ed è al tempo stesso una grande sopravvalutazione delle capacità informatiche e una grande sottovalutazione della qualità artistica del cartone animato tradizionale, specie per quello che riguarda il movimento. Le tecniche di intercalazione automatica (cioè la creazione automatica dei fotogrammi intermedi) che usiamo possono servire solo nei casi più semplici. Il movimento di un personaggio complesso ricreato digitalmente ha in genere una qualità infinitamente inferiore a quella che si ottiene con un animatore umano. Però il software interviene in maniera quasi ubiqua, pressoché in tutte le fasi della lavorazione. È un intervento discreto, quasi invisibile. Forse lo studio Ghibli, venendo dall’animazione interamente manuale, ha scelto Toonz anche per la sua invisibilità, che nasconde il meno possibile l’arte del cartone animato.

Ma concretamente?

Provo a riassumere in termini molto sintetici il processo. I disegni vengono fatti a mano su carta. Poi vengono acquisiti con uno scanner. A quel punto comincia il trattamento digitale: i disegni vengono puliti, si compensano le differenze di tratto fra un disegno e l’altro, si passa alla colorazione. Poi i vari disegni colorati vengono composti fra loro e con lo sfondo per formare la scena. Un singolo fotogramma può essere la composizione di parecchie decine di livelli, ognuno dei quali viene controllato in maniera indipendente. Nella fase di composizione vengono attivati vari tipi di effetti grafici come sfocature, trasparenze, ecc.. Alcuni livelli vengono animati in maniera interamente digitale: la sequenza del drago che si dissolve in un’esplosione di piccole schegge al termine della Città incantata è gestita in questo modo. Alla fine viene creato il file che contiene il video ad alta risoluzione, nel formato digitale scelto.

Un elemento molto importante nello sviluppo di Toonz è stato il tentativo di realizzare un’interfaccia grafica amichevole e comprensibile dal punto di vista degli artisti che avrebbero dovuto usarla. Abbiamo cercato di capire quanto più possibile il loro modo di lavorare e abbiamo cercato di utilizzare le metafore e le logiche a cui loro sono abituati.

Continui a occuparti di programmi di animazione?

No, purtroppo. Negli ultimi anni il mondo dell’animazione è cambiato completamente. C’è stato un violento crollo nel prezzo del software e lo sviluppo e la vendita di un programma come Toonz non è più un’attività economicamente sostenibile. Anni fa abbiamo permesso ad una società giapponese di rilasciare una versione di Toonz nell’OpenSource. Così la nostra creatura continua a sopravvivere con nostra grande soddisfazione. Però abbiamo sostanzialmente abbandonato l’attività di sviluppo in quel settore. In realtà continuiamo a vendere una versione commerciale di Toonz e ogni tanto facciamo qualche piccolo aggiustamento o modifica, ma questa è diventata un’attività marginale.

Che cosa stai facendo adesso?

Parecchie cose diverse fra loro.
Quella più stimolante è un progetto per gestire l’elaborazione del materiale video durante la realizzazione di un film. A parte il lavoro, nei primi giorni del lockdown ho fatto un visualizzatore del contagio (si può trovare su https:// gianmarco-todesco.github.io/covid-19-it-viewer/, ndr) prendendo i dati dalla pagina della protezione civile. Il software è opensource, nel caso qualcuno abbia voglia di vedere come è fatto.

Questa tua ultima frase mi fa tornare in mente tutte le volte che ti ho visto spiegare a qualcuno “come funziona”. Sei un divulgatore ben noto, ormai. Perché “perdi tempo” con ragazzi e pubblico generico? Solo per gioco?

In un certo senso sì, ma dobbiamo intenderci sul significato della parola gioco: a mio parere è una delle attività umane più importanti e utili. Fra l’altro penso che giocare sia il modo migliore per imparare. Per me la divulgazione è complementare alla comprensione: capire “come funziona” qualcosa dà un grande piacere; spiegarlo a qualcuno dà un piacere altrettanto grande e nello stesso tempo offre l’occasione di approfondire la conoscenza. Preparare una lezione o una conferenza o realizzare un’animazione per una mostra obbliga a guardare da angoli differenti cose che pensavi di sapere già e di capirle in maniera molto più profonda.

Che cosa te ne pare del peso che gli scienziati hanno assunto in questi frangenti? Durerà?
La comunicazione della scienza è un’attività indispensabile ed estremamente difficile. Viviamo in un mondo complesso in cui è possibile con uno sforzo modesto ottenere informazioni di altissima qualità praticamente su ogni argomento e nel frattempo assistiamo alla diffusione planetaria di fake news in tutti i campi dello scibile: dalla politica alla fisica, per non parlare della medicina!

La cosa che mi sconforta di più è la diffusione in una parte significativa della popolazione, classe dirigente compresa, di una idea distorta di cosa sia realmente la scienza. Un’idea che assomiglia molto ai “culti del cargo”. La stessa espressione “certezze della scienza” (usata recentemente a sproposito da un politico molto in vista) mi sembra emblematica. La scienza è lo strumento con cui noi capiamo il mondo; però la scienza non può dare certezze. Invece è in grado di dare un’immensa quantità di informazioni utili che dovrebbero essere utilizzate prima di prendere delle scelte politiche. Sarebbe molto bello che la maggioranza dei cittadini riuscisse ad avere fiducia nella scienza senza confondere fiducia con fede.

 

 

 

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