Movimenti del corpo, suoni e vibrazioni possono diventare uno strumento per imparare divertendosi: lo dimostra il progetto sperimentale dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova che sta diventando realtà in molte classi italiane
Occhi immersi nei visori di realtà virtuali. Mani che battono il tempo agli ordini di un computer. Piedi che danzano ripresi dai sensori di movimento. Sembra di assistere a una sfida ai videogiochi e invece è una lezione, di matematica per giunta. A renderla possibile è il nuovo metodo di apprendimento sensoriale sviluppato grazie al progetto internazionale WeDraw, guidato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) con l’università di Genova e finanziato dall’Unione europea con 2,5 milioni di euro nell’ambito del programma Horizon 2020. «Siamo arrivati primi su 92 proposte presentate all’interno della call dedicata alle tecnologie digitali per l’istruzione», ricorda con orgoglio la coordinatrice Monica Gori, responsabile del Laboratorio U-Vip (Unit for Visually Impaired People) dell’istituto ligure.
Psicologa con un dottorato di ricerca in robotica, Monica si occupa da vent’anni dello sviluppo cognitivo dei bambini, con particolare attenzione a quelli disabili. Nel suo percorso professionale è passata dallo studio del cervello allo sviluppo di applicazioni tecnologiche, «perché sono convinta che servano “tecnologie responsabili” che nascono non da idee astratte bensì dallo studio dei principi neurofisiologici», racconta l’esperta. «Dobbiamo realizzare strumenti che siano davvero in grado di agire sui circuiti cerebrali dei bambini con un’efficacia validata da test scientifici». Da questo presupposto, nel 2017 è nato il progetto WeDraw, coltivato insieme a Gualtiero Volpe, docente di ingegneria informatica all’università di Genova, con l’obiettivo di sviluppare un nuovo metodo di apprendimento che fosse davvero attento alle reali abilità dei bambini. «Gli studi psicofisici e psicologici che abbiamo condotto all’Iit negli ultimi 15 anni dimostrano che basare l’insegnamento solo sulla visione non è la soluzione migliore, ma pure che la multisensorialità non funziona sempre – spiega Gori – I bambini fino agli 8-10 anni non possiedono la capacità di integrare le diverse modalità sensoriali e così ne utilizzano preferenzialmente una per apprendere determinati concetti: per esempio la visione per lo spazio, l’udito per il tempo e il tatto per le dimensioni dell’oggetto».
Per trasmettere concetti complessi come quelli matematici, dunque, serviva una svolta: sia rispetto al tradizionale insegnamento frontale con libro e lavagna, sia rispetto all’educazione multisensoriale del metodo Montessori.
Per trovare una buona strada da percorrere, Gori e Volpe hanno formato un’equipe multidisciplinare composta da neuroscienziati, pedagogisti, informatici, ingegneri delle emozioni, esperti di robotica e realtà virtuale. Quindi, dopo aver consultato duecento insegnanti italiani, hanno messo a fuoco i concetti che risultano fra i più difficili da trasmettere durante le lezioni: gli angoli, il piano cartesiano, le frazioni e le trasformazioni da due a tre dimensioni. Valutando attentamente quali fossero le modalità sensoriali più idonee per il loro insegnamento, i ricercatori hanno così sviluppato quattro giochi educativi.
C’è RobotAngle che, attraverso il movimento delle braccia, permette di familiarizzare con gli angoli e giocare con le loro operazioni: «Già disponibile in Italia, può essere scaricato gratuitamente come app per la Lavagna interattiva multimediale dal sito della casa editrice De Agostini Scuola», precisa Gori. C’è poi Cartesian Garden che, attraverso un visore di realtà virtuale, consente di muoversi con il corpo all’interno di un piano cartesiano guidati dai suoni. Spaceshape, invece, è dedicato agli oggetti bidimensionali e tridimensionali, che possono essere ruotati al computer attraverso una penna robotica. Infine, il quarto gioco prevede l’uso del sensore di movimento Kinect per riprendere il bambino mentre rappresenta le frazioni con il proprio corpo, usando la distanza fra le mani per il numeratore e quella fra i piedi per il denominatore. «Grazie a queste tecnologie, il bambino riesce a interiorizzare i concetti in modo più naturale e intuitivo: non deve fare alcuno sforzo cognitivo, di memoria e attenzione per lavorare a livello astratto», spiega Gori. «I test psicofisici e pedagogici che abbiamo condotto dimostrano che un’ora di training al giorno per due settimane determina un miglioramento percettivo-sensoriale che a sua volta si traduce in un miglioramento dell’apprendimento».
La tecnologie frutto di WeDraw stanno già entrando nelle classi italiane e presto potranno farlo anche all’estero, grazie alla collaborazione con un’azienda britannica e una francese. Nel frattempo, la ricerca non si ferma. Il prossimo passo, conclude l’esperta dell’Iit, «sarà quello di allargare la sperimentazione ai ragazzi di medie e superiori, affrontando anche le problematiche dell’apprendimento come la dislessia».