Niente scritti. No, uno scritto ma uno solo. No, due scritti ma facili. “Non punitivi”, ha detto il ministro,(quindi di solito gli scritti proposti dal ministero sono punitivi? ). Sull’esame di maturità si addensano tifoserie quasi più accese di quelle pro o contro il green pass. Il Paese, che di solito non si preoccupa di come gli insegnanti dei propri figli siano assunti o di che competenze abbiano, riscopre l’interesse per la scuola quando si tratta dell’esame di stato.
L’orale è più facile? Lo scritto farebbe emergere le carenze insormontabili prodotte dalla Dad? Aver fatto qualche periodo di lezioni in remoto non può concedere un esonero a vita dalla carta o dalla tastiera.
Lavoro, cittadinanza, socialità esigeranno la capacità di articolare un pensiero ponderato e coerente, conseguenziale e logico, e magari anche espressivo ed evocativo. Che sia il verbale di una riunione di condominio o una lettera d’amore, alla scrittura non si sfuggirà: allora meglio che la scuola prepari a sfuggire le figuracce e insegni a scrivere con correttezza ed efficacia.
Non ho mai apprezzato le ondate di compatimento per gli alunni in Dad: avrei preferito meno commiserazioni e più soluzioni (Ffp2, ricambi dell’aria, trasporti). Educativamente preferisco che si aiuti chi è a terra a rimettersi in piedi piuttosto che rendergli comodo stare sdraiato. Però fatico a difendere un ministero che a metà anno scolastico cambia la formula dell’esame finale.
Ma la cosa che mi preme davvero non è tanto discutere se fare o non fare la seconda prova quanto piuttosto cercare di capire quale prova e con quale finalità. La scuola non è uno squid game che ha lo scopo di eliminare in base a qualche percorso a ostacoli un’ampia fetta di perdenti, come sembrano ritenere i nostalgici della vecchia scuola elitaria. Un’astrusa traduzione dal greco avulsa dal contesto, un coacervo di curve che si intersecano per motivi a tutti ignoti possono creare uno scoglio. Ma lo scopo non può essere la difficoltà fine a sé stessa. Quello che serve veramente è valutare l’acquisizione di strumenti cognitivi e operativi, di conoscenze e saperi non solo per la scuola, ma soprattutto per la vita. La strutturazione di concetti e di ragionamenti, la capacità di mettere a frutto competenze e di gestire psicologicamente la prova, il reperimento di strategie note o l’invenzione di vie nuove per affrontare problemi inediti (meglio quindi che non sia l’ennesimo compito assegnato dai propri professori). Tutto questo, non solo il voto finale, è quello che si deve portare con sé quando si lascia la scuola. A che cosa serve l’esame?
Se la scuola serve a qualcosa che vada al di là della scuola, anche l’esame serve.
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