Sprecare meno e bere con più gusto: è la filosofia di due ragazzi piemontesi che hanno dato vita a un progetto di circular economy che trasforma il cibo più prezioso, rimasto invenduto, in birra artigianale
Birra di orzo nell’antico Egitto, birra di miglio presso le tribù africane e ora birra di pane, possibilmente cotto, nei forni a legna delle Valli Occitane. Si chiama Biova Beer ed è prodotta dal pane che ogni giorno viene buttato dalla grande distribuzione o in generale dal consumo alimentare. Tredicimila quintali di spreco quotidiano (solo in Italia) che oggi diventano un’utile risorsa.
L’idea nasce e si realizza grazie all’intuizione di due ragazzi. Franco di Pietro e Emanuela Barbano vivono a Melle, un paesino del Piemonte di trecento anime, noto fino ad ora solo per i suoi tomini di formaggio e oggi invece al centro di una formula che ridisegna il futuro in maniera sostenibile e affonda le sue radici nell’antica sapienza dei popoli della Mesopotamia. “Con Barbara – racconta Franco – lavoravamo da anni in un’agenzia di comunicazione. Un mondo affascinante ma che parlava una lingua nella quale non ci riconoscevamo più. Volevamo allontanarci da quel modello di business, cercavamo nuovi scopi e ci siamo avvicinati al volontariato”.
Con alcune associazioni i due ragazzi entrano in contatto con il mondo degli scarti e degli sprechi alimentari, andando a raccogliere gli avanzi dei catering per redistribuirli, toccando con mano l’assurdità di certi stili di vita e di certi modelli di produzione: “Ci siamo accorti di quanto il pane, seppur consacrato da ogni civiltà, sia invece bistrattato. Ce n’è così tanto in giro di pane sprecato che le associazioni non lo volevano e facevamo fatica a smaltirlo”.
Da lì è nata l’idea: la birra poteva diventare il perfetto sistema di assorbimento del surplus di pane attraverso un sistema di economia circolare che porta la materia prima scartata a reinserirsi nel ciclo di produzione”. Facendo due conti: “Con 150 chili di pane si producono 2.500 litri di birra artigianale, risparmiando il 30% di orzo (già contenuto nel pane) e 1.000 chili di CO2 ”. Un esempio virtuoso di economia circolare che ha attirato l’attenzione dei giudici dello Smart Talk Video Contest di Geco, un appuntamento centrale nel settore della sostenibilità che vede la partecipazione di centinaia tra produttori, relatori ed esperti del settore.
“Quando ci siamo convinti dell’idea, abbiamo cominciato a informarci – prosegue di Pietro – e a studiare la possibilità di realizzazione. Alcuni amici mastrobirrai ci hanno dato la loro ricetta e soprattutto abbiamo analizzato il sistema logistico che ci avrebbe permesso di ritirare il pane in tempo utile. Essendo altamente deperibile, va trattato prima possibile. Così ci è venuta l’idea di trovare in ogni zona di ritiro del pane un luogo di stoccaggio dove avviare la prima fase di lavorazione, che è quella dell’ammostamento”.
Una fase importante perché blocca il deperimento attraverso la bollitura. In questo modo si eliminano i residui batterici ma soprattutto si recuperano, attraverso lo scioglimento, i cereali contenuti nel pane”.
La prima birra prodotta internamente a un sistema di produzione circolare fu presentata nel 2018 in una piccola fiera di micro-birrai, rivelandosi subito un successo: “Avevo preso accordi con due piccoli panifici del paese – continua di Pietro – andavo direttamente io a prendere il pane avanzato e a portarlo nel luogo di stoccaggio. L’idea è piaciuta subito alla grande distribuzione perché risolveva il problema dello smaltimento del pane e poi, essendo il pane prodotto internamente, consentiva di recuperare i propri scarti producendo e vendendo un nuovo prodotto interamente sostenibile”.
L’azienda di Emanuela e Franco ha così stretto accordi con la Coop Nordest e distribuisce ora in Piemonte, Liguria e Lombardia. Ogni fase ha una sua codifica, a partire dalla raccolta dello scarto fino ad arrivare alla fase di sterilizzazione: “Ogni grammo di pane che ritiriamo – spiega Franco con una punta di orgoglio – viene tracciato e inserito in un sistema di blockchain che certifica l’origine dei prodotti in modo da entrare a far parte dei dati
di sostenibilità dei nostri clienti”.
Il prodotto finale ha una sua caratteristica saporita e ben definita dagli ingredienti contenuti nel pane con livelli diversi di gradazione alcoolica. A fine marzo scorso è stata presentata l’ultima nata, ora in fermento nei luoghi di stoccaggio. Si chiama “Biova Lago di Como”: è una birra chiara dalla classica impronta tedesca, prodotta con pane cotto dai panificatori della sponda del lago: “Nel fare impresa portiamo avanti progetti territoriali – conclude Franco – e cerchiamo sempre di caratterizzare il nostro prodotto con una forte impronta territoriale, inserendolo all’interno di un sistema di economia circolare che fa risparmiare e ci rende sostenibili. Ho passato una vita a cercare di affibbiare un messaggio e uno scopo ad aziende e prodotti che mi venivano presentati dai clienti. Scopo che spesso non avevano. Ora l’ho trovato ed è il prodotto stesso che ho deciso di fare mio. È un modo per rendere tutti noi più attivi nella tutela ambientale, anche attraverso un gesto semplice come quello di bere una birra”.