Antibiotici, possiamo andare oltre

Ogni anno 33mila persone in Europa muoiono a causa di malattie provocate da microrganismi resistenti ai farmaci. 700mila nel mondo. Nel 2050 i decessi correlati alla resistenza agli antibiotici potrebbero raggiungere i 10 milioni. Come dire che tra qualche anno i batteri insensibili agli antibiotici faranno più vittime del cancro. E non ci riferiamo solo a condizioni rare, ma anche a patologie diffuse. A non essere più facilmente curabili sono già oggi le infezioni del tratto respiratorio, le cistiti, le infezioni sessualmente trasmissibili, le polmoniti e la salmonellosi. Malattie dalle quali avevamo imparato a guarire e che non facevano più paura da quando, negli anni Quaranta, venne messa in produzione la penicillina, il primo antibiotico. L’aveva scoperto nel 1928 Alexander Fleming, con una ricerca che gli era valsa il Nobel per la medicina (insieme a Florey e a Chain) nel 1945. Oggi le cose sono così cambiate che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nel 2019 ha inserito l’antibiotico-resistenza, il fenomeno che rende i microrganismi insensibili all’azione degli antibiotici appunto, tra le prime 10 minacce alla salute globale.

I superbatteri

Quali sono i batteri più temibili? L’Oms ha redatto una lista di quelli che resistono di più all’azione degli antibiotici e li ha classificati in base alla pericolosità e al livello di resistenza, e quindi all’urgenza di trovare nuovi farmaci.

Ma elenchi e priorità a parte, di cosa parliamo quando parliamo di antibiotico-resistenza? L’antibiotico-resistenza è un fenomeno evolutivo naturale, darwiniano. Può essere sia naturale, quando il batterio è naturalmente resistente a un antibiotico, sia acquisita, quando invece il microrganismo, modificando il suo genoma, si adatta a resistere a un farmaco o a più farmaci (in questo caso si parla di multi-resistenza). Il fatto è che ogni batterio che sopravvive a una terapia antibiotica può diventare resistente alle cure successive, moltiplicarsi e trasferire la resistenza acquisita ad altri batteri. Tutto questo non riguarda quindi i singoli individui, ma tutti quelli che saranno contagiati da quegli stessi batteri. Questo processo ha subito un’accelerazione, così che oggi siamo di fronte a un problema di salute pubblica globale.

Usi e abusi in medicina

Perché questo è accaduto? Come abbiamo fatto a trasformare gli antibiotici in una battaglia che rischiamo di perdere? Prima di tutto utilizzando troppo e male i farmaci. Gli antibiotici andrebbero assunti e prescritti principalmente nei casi in cui l’infezione batterica ha poca probabilità di guarire in assenza di cure, o potrebbe richiedere tempi lunghi prima di essere debellata, o quando c’è un alto rischio di diffusione dell’infezione, oppure in caso di pericolo di complicazioni gravi. Ma le cose sono andate diversamente, e vanno ancora diversamente. Per darne un’idea, c’è per esempio uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno sul British Medical Journal, che ha indagato quanto spesso gli antibiotici vengano prescritti in modo inappropriato. Ebbene, secondo gli autori della pubblicazione, negli Usa 25 volte su cento la prescrizione di antibatterici è inappropriata. Gli antibiotici prescritti impropriamente, sempre secondo lo studio, mirano a curare bronchiti acute, infezioni delle vie respiratorie superiori, tosse, patologie di origine non batterica ma virale, contro cui l’antibiotico, essendo un anti-batterico, è per definizione inefficace. A proposito di virus, nell’ottobre 2018 è stata presentata un’indagine di Assosalute secondo la quale l’antibiotico rappresenta la prima soluzione contro l’influenza – una malattia virale – per il 15% degli italiani. Prima soluzione significa che la tendenza per milioni di pazienti è quella di non aspettare: né che ci sia davvero un rischio di complicazioni gravi, né che il sistema immunitario faccia il suo lavoro (abbiamo anche un sistema immunitario, ogni tanto vale la pena di ricordarlo) magari affidandosi nel frattempo a farmaci che allevino i sintomi dell’influenza. Insomma, per molti, meglio un bell’antibiotico subito…

Oltre a questo uso eccessivo di antibiotici anche contro malattie che non sono provocate con certezza da batteri, pure l’abitudine di assumerli senza rispettare le istruzioni del medico è molto pericolosa. Ridurre le dosi, allungare i tempi tra un’assunzione e la successiva o interrompere la cura antibiotica favorisce l’insorgenza di forme mutanti nelle popolazioni di microrganismi, e quindi di forme resistenti. Secondo il rapporto nazionale di Aifa, Agenzia italiana del farmaco, pubblicato lo scorso febbraio e relativo al 2017, nel nostro Paese il consumo di antibiotici, con 25,5 dosi giornaliere ogni mille abitanti, è ancora sopra la media Ue, sebbene in calo rispetto al passato. In Italia le morti correlate all’antibiotico-resistenza sono 10 mila, il 30 per cento di tutte quelle che si contano in Europa. Il 90 per cento dell’utilizzo degli antibiotici avviene su prescrizione del medico di base o del pediatra di libera scelta, stando all’Agenzia del farmaco, che infatti coglie l’occasione per affermare che “una parte rilevante di prescrizione potrebbe essere evitata”. Dallo stesso documento Aifa risulta inoltre che le infezioni resistenti agli antibiotici sono diffuse in tutte le fasce di popolazione, ma colpiscono in particolare i bambini e gli anziani. E che nel 75% dei casi sono dovute a infezioni correlate all’assistenza sanitaria, cioè contratte negli ospedali o negli ambienti di cura.

Ammalarsi in ospedale

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie Infettive (Ecdc), il 63% delle oltre 33mila morti europee dovute alla resistenza dei batteri ai farmaci sarebbe dovuto a infezioni correlate all’assistenza sanitaria. Nel mondo, un paziente su 10 è vittima di un’infezione ospedaliera. In Italia, secondo stime dell’Istituto superiore di sanità, circa l’8 per cento dei pazienti ne ha contratta una. Le più frequenti? Quelle respiratorie, del tratto urinario, della ferita chirurgica, le batteriemie. Tra i microrganismi responsabili ci sarebbero soprattutto Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus e Klebsiella pneumoniae. Tutti batteri spesso resistenti agli antibiotici…

È chiaro che, visti questi numeri, per prevenire l’uso improprio e l’abuso di antibiotici e controllare le resistenze, sono richieste sia strategie e un coordinamento a livello europeo e mondiale sia piani nazionali capaci di fare fronte alle situazioni locali. L’Italia si è dotata del primo Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (Pncar) 2017-2020 che, coerentemente alle indicazioni dell’Oms, prevede la sorveglianza dei consumi degli antibiotici nel settore umano. E veterinario.

Il settore veterinario

L’uso inappropriato degli antimicrobici negli animali da allevamento è una causa tutt’altro che secondaria dell’antibiotico-resistenza. Nel mondo, l’uso di antimicrobici negli allevamenti supera il consumo umano di quasi tre volte. Negli Stati Uniti, per esempio, quasi l’80 per cento di tutti gli antibiotici viene somministrato agli animali. E le previsioni non consolano. A livello mondiale, secondo uno studio pubblicato su Science nell’autunno del 2017, l’utilizzo incontrollato di farmaci contro le infezioni in zootecnia, cioè come fattori di crescita o come sostituto a basso costo di condizioni igieniche appropriate, potrebbe aumentare di oltre il 50% tra il 2013 e il 2030. Come dire che, se nel 2013 sono state utilizzate più di 131mila tonnellate di antibiotici negli animali, fra 10 anni potrebbero essere 200mila. Attualmente i tre principali utilizzatori di antibiotici nella produzione di animali destinati all’alimentazione sono Cina, con 78.200 tonnellate nel 2013 (59% in più previsto per il 2030), Stati Uniti, con 9.476 tonnellate (più 22% nel 2030), Brasile, con 6.448 tonnellate (più 41% nel 2030). Noi come siamo messi? Secondo i dati Ecdc e Efsa (European Food Safety Authority) diffusi da Legambiente nel 2017, ogni anno oltre il 70% degli antibiotici venduti in Italia sono destinati agli allevamenti animali: siamo terzi in Europa, dopo la Spagna e Cipro. Ma le cose stanno cambiando, visto che a fine 2018 il Parlamento europeo ha fissato nuove regole per limitare nelle aziende agricole l’uso di antibiotici. La nuova legislazione stabilisce che i farmaci veterinari non devono servire a migliorare le prestazioni o compensare la scarsa cura dell’animale. Stabilisce poi che certi antimicrobici sono riservati esclusivamente agli esseri umani. Limita l’uso di antimicrobici come misura preventiva (profilattica), cioè in assenza di segni clinici di infezione. Secondo le nuove norme, l’uso metafilattico (cioè il trattamento di un gruppo di animali quando si manifestano segni di infezione) dovrebbe essere l’ultima risorsa e si potrà utilizzare solo dopo che un veterinario abbia diagnosticato la malattia e prescritto gli antimicrobici per singoli animali e non per gruppi. “È un importante passo avanti per la salute pubblica” – ha commentato dopo il successo della votazione l’eurodeputata francese del Partito popolare europeo Françoise Grossetête, relatrice della legge. “Al di là degli agricoltori o dei proprietari di animali, l’uso di medicinali veterinari riguarda tutti noi, perché ha un impatto diretto sul nostro ambiente e sul nostro cibo e quindi sulla nostra salute. Grazie a questa legge – ha detto – saremo in grado di ridurre il consumo di antibiotici negli allevamenti, che sono un’importante fonte di resistenza che viene poi trasmessa all’uomo. La resistenza agli antibiotici è una vera spada di Damocle, che minaccia di rimandare il nostro sistema sanitario al Medioevo”.

Mani pulite e virus batteriofagi

Che fare allora contro il ritorno ai secoli bui dell’era pre-antibiotica? Oltre alle azioni normative, alle campagne di sensibilizzazione e informazione sull’uso corretto dei farmaci, destinate sia agli operatori sanitari che alla popolazione generale, e oltre alle attività di monitoraggio e controllo a livello sovranazionale e nazionale, andrebbero divulgate e potenziate anche buone pratiche igieniche, per evitare e contenere la diffusione di infezioni. A cominciare dal lavaggio delle mani, che deve essere frequente e con acqua e sapone soprattutto dopo aver usato il bagno e prima di mangiare e di preparare i cibi. E naturalmente occorre stimolare la ricerca e lo sviluppo di nuove molecole efficaci. E non solo di molecole, sembrerebbe. Giusto qualche settimana fa su Nature Medicine è stato pubblicato uno studio che per la prima volta dimostra l’efficacia di virus geneticamente modificati somministrati per trattare il Mycobacterium abscessus, un microrganismo della stessa famiglia del batterio della tubercolosi e resistente ai farmaci, che aveva infettato un’adolescente ammalata di fibrosi cistica che aveva subito un trapianto di polmoni. I virus utilizzati, che appartengono alla famiglia dei batteriofagi (letteralmente mangiatori di batteri), sono stati prima ingegnerizzati, cioè modificati per renderli veri e propri killer di Mycobacterium, e poi sono stati iniettati nella paziente. Con successo. Ecco una via completamente nuova contro le infezioni batteriche resistenti. Una strada ancora tutta da battere, che però potrebbe andare ad affiancare quella più tradizionale, forse troppo battuta.

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