In Italia le donne scienziato hanno avuto più fortuna – ma sarebbe meglio dire, meno sfortuna – che altrove in Europa. Già nell’XI secolo, per esempio, presso la Scuola medica di Salerno primeggiava Trotula de Ruggiero. La scuola era da tempo la migliore dell’Europa occidentale e da sempre era aperta alle donne che non solo la potevano frequentare, ma vi potevano anche insegnare. Quelle donne erano conosciute in tutta Europa come le Mulieres Salernitanae. Trotula, vissuta intorno al 1050, fu la più grande. Padroneggiava tutta l’arte medica, ma fu una scienziata creativa, soprattutto in due settori: la prevenzione e la ginecologia. Aveva capito che il modo migliore per essere medico era non far venire le malattie, che lei legava anche all’ambiente. Da qui la necessità di curare l’igiene. Raccomandava inoltre di mangiare in modo sano e anche di impegnarsi in una costante attività fisica. Come ginecologa fu una grande innovatrice: si occupava delle malattie sessuali delle donne – tema tabù fin quasi ai nostri giorni – e dell’infertilità, sostenendo che se in una coppia non nascono figli può essere anche colpa del maschio, eventualità fino ad allora semplicemente non considerata. La Scuola medica di Salerno era di fatto un’università. Tant’è che, un secolo e mezzo dopo, Federico II ordinò che potesse svolgere l’attività medica solo chi si era diplomato a Salerno. Ma formalmente le università nascono più tardi. Bologna aspira al titolo di prima in assoluto. In realtà, a partire dal XII secolo, si forma una rete di università europee con caratteristiche analoghe e curriculum pressoché omologhi. Occorre però attendere il 25 giugno 1678 perché una donna ottenga la laurea in un’università europea. Succede a Padova, dove viene proclamata dottore in filosofia la veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia. Voleva laurearsi in teologia, ma il vescovo della città patavina aveva messo il veto.
La seconda a laurearsi in Europa (e in Italia) fu la bolognese Laura Bassi, proclamata dottore il 12 maggio 1732. Laura fu anche la prima donna a insegnare all’università (sempre senza tenere in conto Trotula de Ruggiero). La sua laurea e la sua prima docenza furono in filosofia, ma Laura fu una vera e propria ricercatrice eclettica e si occupò con successo anche di medicina e di filosofia naturale (fisica). Nei Paesi del centro e nord Europa, le donne non hanno avuto accesso alle università fino alla fine dell’Ottocento e in alcuni casi fino all’inizio del Novecento. In Italia questa proibizione non c’è mai stata, almeno formalmente, quindi le donne italiane sono state tra le prime a emergere in campo scientifico.
In tempi recenti ricordiamo tra le più importanti, a cavallo tra i due secoli, Maria Montessori, figura eclettica che ha frequentato la neuropsichiatria infantile ma pure la filosofia e la pedagogia. I bambini erano il suo campo di studio a largo raggio. È celeberrima per il metodo che porta il suo nome e che ancora oggi è considerato di assoluta avanguardia in campo educativo. Tra le figure di donne scienziato italiane contemporanee e scomparse di recente ce ne sono due che spiccano, per motivi diversi. La prima è Rita Levi Montalcini, unica donna italiana ad aver vinto (nel 1986) un premio Nobel scientifico. Aveva scoperto il nerve growth factor (Ngf), il fattore di crescita nervoso, una proteina coinvolta nello sviluppo del sistema nervoso degli umani e di tutti i vertebrati. Rita era ebrea e nel 1938, a causa delle leggi razziali, fu costretta a fuggire in Belgio con Giuseppe Levi, maestro suo e di altri due premi Nobel: Salvatore Luria e Renato Dulbecco. Sono pochi al mondo ad essere stati maestro di tre premi Nobel! Rita Levi Montalcini ha manifestato pure un forte impegno sociale ed è stata nominata senatrice a vita, svolgendo fino in fondo il suo mandato con impegno e ignorando le ignominiose offese ricevute dai suoi avversari politici. Ci ha lasciati nel 2012. Stessa scorza l’ha manifestata Margherita Hack, astronoma di origini fiorentine scomparsa l’anno dopo, nel 2013. Una signora forte con i forti e debole con i deboli. Per anni è stata la “signora delle stelle”, prima donna a dirigere in Italia un osservatorio astronomico, quello di Trieste. Era un’icona popolare e con la gran parte delle persone entrava in una spontanea empatia. Ciò non le impediva di farsi bandiera delle idee sociali e politiche più disparate, da quella per una maggiore attenzione verso la ricerca a quella della lotta alle informazioni pseudo-scientifiche (con Piero Angela e altri ha fondato il CICAP), da quella per la cultura dell’andare in bicicletta all’alimentazione vegetariana. Nessun uomo di scienze ha saputo rappresentare con tanta forza e immediatezza le idee e i punti di vista della scienza come lei. Nessuno scienziato per svariati lustri è stato come lei il “volto della scienza italiana”.