L’Eurostat regional yearbook 2021 elabora i dati statistici delle regioni europee su tematiche sociali, economiche e ambientali. I 27 Stati della Ue sono analizzati in 3 livelli, i Nuts (Nomenclatura delle unità territoriali statistiche), rispettivamente di 92, 240, 1.169 unità territoriali. L’Italia è divisa in 5 macroregioni, 21 regioni e province autonome e 107 province e città metropolitane.
Perché ho fatto questo minicorso sulle statistiche della Ue? Per varie ragioni.
Penso che il Manifesto per un’Europa libera e unita di Spinelli, Rossi e Colorni sia la nostra unica speranza ma, per rendere l’Europa più forte dei sovranismi, bisogna comprenderne la complessità. Scorrete lo Yearbook: ci sono da rivedere molti pregiudizi.
Un dato su tutti: l’Italia figura nella tabella sul tasso di rischio-di-povertà come prima con 2 regioni del Sud con valori prossimi al 50% e tra le ultime 9 con 4 regioni con valori sotto al 10%. La situazione migliora se teniamo conto delle misure di sostegno sociale, ma lo squilibrio del nostro Paese rimane devastante. (Il tasso di rischio di povertà è la percentuale di persone con reddito disponibile, normalizzato sui componenti, che si trovi sotto la soglia del 60% della mediana). Questo tasso è una misura di povertà relativa e non significa necessariamente un basso standard di vita, ma la situazione rimane grave se si considera il tasso di povertà o esclusione sociale che tiene conto anche delle condizioni abitative e occupazionali. Che si valuti la disoccupazione assoluta, quella giovanile, i Neet (i giovani che non lavorano né studiano né sono in formazione) o l’efficacia dei corsi di formazione, le regioni italiane hanno una dispersione nella distribuzione dei valori sconcertante. Viviamo in un Paese con disparità enormi e che si aggraveranno anche a seguito dell’indicatore che anticipa l’evoluzione, ovvero il tasso di dispersione scolastica che è quasi del 20% in regioni del Sud e sotto il 10% in alcune regioni del Nord.
Il nostro vero avversario è la disparità. In primo luogo quella educativa che poi rende tutti, ad ogni livello, facili prede di narrative semplicistiche o che impedisce di reagire alla spesso motivata sfiducia che ha portato a votare nell’ultima consultazione solo il 43% dei cittadini. L’azione dello Stato con il Pnrr è qui decisiva, insieme a quella di un’Europa che riequilibri le regioni invece di farle andare ognuna per sé.
Nella mia Regione vogliono regionalizzare l’Ufficio scolastico, in altre preme la spinta all’autonomia differenziata. Sono forze a cui resistere. Mi è stato chiesto se la Repubblica Italiana sia ancora fondata sul lavoro, ho risposto che deve esserlo ma non può esserlo se non è fondata anche sull’istruzione pubblica, statale e uniforme.
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