Numeri nella linea della mente

Da sempre il pensiero matematico si è avvalso del concetto di spazio, un sodalizio emblematicamente rappresentato dall’antico studio della geometria che nasce dall’esigenza di misurare lo spazio intorno a noi, per poi diventare disciplina di carattere speculativo, con valore di universalità. Lo spazio euclideo costituisce in tal senso la prima forma di ambiente dove ordinare gli “oggetti” geometrici quali punti, rette e forme facendo ricorso proprio ai numeri reali.

In tempi molto più recenti, seppur ormai più di un secolo fa, il legame tra concetti numerici e spazio ha attratto l’attenzione degli studiosi interessati al funzionamento della psiche e ai processi di pensiero. Tra questi spicca il nome di sir Francis Galton, ricercatore britannico che nel 1880 pubblicò due articoli che descrivevano i vari modi in cui gli individui visualizzano i numeri nella propria mente.
Attraverso l’analisi delle molte interviste condotte, Galton poté concludere che l’attivazione automatica di una rappresentazione con caratteristiche visuo-spaziali fosse un’esperienza comune ai soggetti quando vedevano, sentivano o pensavano a un numero. Tali rappresentazioni erano spesso complesse e dettagliate, oltre che molto diversificate tra i soggetti, seppur per il singolo individuo costanti nel tempo. Per esempio, alcuni soggetti riferivano di vedere i numeri come tasselli del domino o di associare ogni numero a un colore specifico. Altri ancora riferivano di vedere ciascun numero in una posizione precisa in una struttura spazialmente organizzata. Galton chiamò queste configurazioni visive con il termine forme del numero, riconoscendo ad esse una funzione di supporto al calcolo mentale.

Cento anni più tardi fu Stanislas Dehaene, matematico passato alle neuroscienze cognitive, a riportare in auge l’intuizione di Galton includendo l’ipotesi di una linea numerica mentale al centro dei moderni modelli di cognizione numerica e sostenendone la validità sulla base di diverse evidenze sperimentali. Ad esempio, il confronto tra due numeri è tanto più facile quanto più i numeri sono distanti tra loro (come nel caso di 13 confrontato con 16), quasi che la discriminazione fosse facilitata dalla maggior distanza fisica che intercorre fra i numeri sulla linea numerica mentale. Inoltre, in semplici esercizi numerici, come quello di classificare in termini di parità alcuni numeri presentati su uno schermo, la tendenza dei soggetti è di rispondere ai numeri piccoli più velocemente con la mano sinistra – quando le mani sono lo strumento previsto – e ai numeri grandi con la mano destra, segno di una compatibilità tra lato della risposta e posizione del numero lungo un’ipotetica linea numerica mentale. Questo fenomeno, noto come effetto Snarc (Spatial Numerical Association of Response Codes), è stato replicato in una grande varietà di condizioni con numeri di diverso formato (per esempio arabo, verbale o anche non simbolico) e con diversi tipi di risposta (mani, piedi, movimenti oculari ecc.) e si è dimostrato flessibile e contesto-dipendente. L’idea è che in base all’intervallo numerico che si prende in considerazione la nostra attenzione si “sposta” lungo la linea mentale per mettere a fuoco solo la porzione che serve.

Quindi lo stesso numero, ad esempio 4, potrà essere associato con lo spazio a sinistra o a destra, a seconda che si prenda in considerazione il range 0-4 o 4-9. Un’ulteriore conferma della necessità di muoversi lungo lo spazio immaginativo per elaborare i numeri viene dallo studio di pazienti con lesioni all’emisfero destro che ignorano la parte sinistra dell’ambiente e del loro corpo, fenomeno noto come neglect. Questi pazienti hanno difficoltà ad esplorare non solo la parte sinistra dello spazio circostante, ma anche quella della linea numerica mentale, rafforzando l’ipotesi della natura spaziale di questa rappresentazione.

Dopo oltre trent’anni di ricerca, l’origine di questo fenomeno è oggi quasi del tutto compresa. La direzionalità della linea numerica mentale è stata da subito ricondotta a fattori culturali, primo fra tutti il sistema di letto-scrittura. È infatti ormai noto che l’effetto Snarc è invertito in lingue con direzionalità destra-sinistra (per esempio, l’arabo), e molto attenuato in lingue con direzionalità ortogonale (per esempio, il giapponese) o mista, come nei parlanti bilingui arabo-inglese. Ancora più interessante è il fatto che la spazializzazione e la direzionalità delle informazioni numeriche non sono determinate né dalla dominanza emisferica (vale a dire, mancini e destrimani non hanno prestazioni diverse) né dall’esperienza visiva, dato che soggetti ciechi congeniti totali mostrano un effetto Snarc sostanzialmente analogo ai soggetti vedenti. Sembrerebbe quindi che i fattori ambientali ed esperienziali giochino un ruolo determinante nel definire la direzionalità della rappresentazione numerica spaziale.

Eppure, recenti ricerche provano che l’intima associazione tra numeri e spazio ha un’origine filogeneticamente antica e pre-culturale. Infatti, bambini di pochi mesi o addirittura di pochi giorni di vita mostrano una tendenza naturale ad associare numeri e spazio, oltre a preferire la presentazione di numerosità crescenti da sinistra a destra rispetto alla direzione opposta. In modo sorprendente, risultati simili e analoghi sono stati riportati anche con pulcini di pochi giorni di vita.

In particolare, addestrando un pulcino a cercare il cibo dietro a cartellini raffiguranti diverse numerosità, è stato dimostrato che la presentazione di una numerosità maggiore di quella attesa lo portava a preferire, tra due cartellini identici, quello a destra così come la presentazione di una numerosità minore lo portava a preferire quello a sinistra.

Come possiamo spiegare questa precoce e universale tendenza ad associare lo spazio sinistro con le numerosità piccole e lo spazio destro con le numerosità grandi? Chiaramente, i fattori biologici giocano la loro parte: da un lato, è noto che la specializzazione emisferica destra per l’esplorazione spaziale ci porta a dirigere maggior attenzione allo spazio sinistro; dall’altro sappiamo che le informazioni crescenti hanno maggior rilevanza evolutiva delle informazioni decrescenti, rendendo le prime più salienti in uno stadio precoce dello sviluppo.

In sintesi, lo stretto legame tra numeri e spazio, così centrale nel pensiero matematico, come per le scienze e la tecnologia, sembra emergere prima di ogni esperienza con il linguaggio, con i simboli numerici e con gli strumenti di misurazione. Nel tempo questa associazione darebbe origine ad una rappresentazione mentale dei numeri con caratteristiche spaziali, la cui direzionalità risulta fortemente modulata dai fattori culturali ed esperienziali.

In ogni caso, è indubbio che tale rappresentazione sia funzionale alla comprensione dei concetti numerici e alla loro combinazione aritmetica, dove addizione e sottrazione possono essere visualizzate lungo questo continuum rappresentazionale.

In fondo, l’idea che immaginare, quindi visualizzare nella mente, informazioni e concetti faciliti la loro memorizzazione e il successivo utilizzo era già sostenuta fin dall’antichità. Non è quindi sorprendente che l’evoluzione ci abbia portato naturalmente a sfruttare questa strategia per rappresentare un concetto così fondamentale come quello di numero.

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