Leadership al femminile, ritorno dei giovani al Sud e corsi di coding nella scuola primaria. Sono le linee guida che Walter Ruffinoni ha voluto dare a NTT DATA, che vanta proprio a Cosenza uno dei suoi tre centri d’eccellenza. Gli altri due sono a Tokyo e a Palo Alto
Nel suo ultimo libro immagina un nuovo Rinascimento nel 2050. Di sé ama dire che si occupa di futuro: «Stiamo vivendo un umanesimo digitale: l’uomo sta tornando al centro dei processi sociali e aziendali e la tecnologia lo pone al centro del processo innovativo”. Walter Ruffinoni, 56 anni, è Ceo per l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) di NTT DATA, multinazionale giapponese specializzata in digital, cyber security e system integration. Un colosso mondiale quotato alla Borsa di Tokyo che vanta tre centri d’eccellenza: Tokyo, Palo Alto e Cosenza. Valorizzazione della leadership femminile, lavoro al Sud e corsi di coding nella scuola primaria sono le linee guida che caratterizzano la politica italiana della multinazionale che, con 8 sedi e quattromila dipendenti lungo la Penisola, ha deciso di puntare in maniera decisa sul Meridione: “La pandemia e il lockdown – osserva Ruffinoni – hanno spinto
molti ragazzi che erano emigrati dalle regioni del Mezzogiorno a farvi ritorno lavorando da remoto. Stiamo vivendo una sorta di fuga dei cervelli al contrario che ritengo sia una piccola rivoluzione nel mondo del lavoro”.
Lei si occupa di Intelligenza artificiale e Big Data, cyber security e industria 4.0, internet delle cose, blockchain e 5G. I processi di innovazione e sviluppo fanno da motore all’economia di un Paese che cerca di riprendersi dall’emergenza Covid. Quali sono i settori d’impresa, italiani ed europei, che stanno maggiormente investendo in queste tecnologie?
In Italia, quasi tre imprese su quattro investono in innovazione e tecnologie digitali, ma poche di queste sono già in fase di maturità. All’inizio, le prime a investire nell’innovazione dei servizi e dei processi sono state le telecomunicazioni, poi, a seguire, settori come il retail e il finanziario. Negli ultimi anni, sono cresciuti gli investimenti anche dei comparti editoriale, assicurativo e farmaceutico.
In questo semestre lei è a capo del Consorzio ELIS, realtà no profit impegnata nella formazione professionale, a cui aderiscono 120 grandi aziende. Come procede la crescita dei laureati in discipline scientifiche STEM?
I laureati in queste discipline stanno aumentando: ai giovani è chiaro il potenziale di questo settore, ma il problema principale resta il divario di genere.
Nella primavera del 2020 lei disse che l’Italia avrebbe dovuto affrontare lo stesso percorso della Germania di fine anni Ottanta: riunificare il Paese e avvicinare Nord e Sud. La pensa ancora così?
Certo, ridurre la forbice tra Nord e Sud Italia è essenziale per la ripartenza complessiva di tutto il Paese: non è una sfida che possiamo permetterci di perdere, soprattutto nel prossimo futuro, quando le conseguenze della crisi
si renderanno più evidenti. Il Sud deve essere un asse portante della ricostruzione e della ripartenza. Noi, come NTT DATA, abbiamo puntato sul Sud proprio come leva per la ripartenza e a distanza di qualche anno siamo passati da 100 persone a oltre 600. I centri d’innovazione tecnologica di Napoli e Cosenza sono i due nostri punti di forza.
Come interpreta il fenomeno del “South working”? I giovani rientrati nelle regioni del Sud per lavorare da remoto porteranno nuova produttività e legami con il territorio?
I cambiamenti che lo smart working apporterà a livello sociale e lavorativo sono destinati a restare con noi per molto tempo; quindi è probabile che coloro che sono tornati nelle città di origine per lavorare da remoto resteranno al Sud. Chiaramente, il fenomeno del South working rinsalderà i legami dei giovani con il territorio e questo “ritorno di cervelli” potrebbe avere, sul lungo periodo, risvolti molto positivi per quanto riguarda la produttività, l’innovazione e la digitalizzazione delle regioni del Sud, dove contiamo di continuare a fare investimenti.
Quali sono, secondo lei, i pregi e i limiti del modello smart working? Le aree di co-working possono essere una soluzione?
Sicuramente l’introduzione massiccia dello smart working all’interno dei processi lavorativi è uno di quei cambiamenti in grado di modificare strutturalmente, e in via definitiva, il mondo del lavoro: si tratta di una nuova filosofia manageriale, che garantisce una maggiore flessibilità e la possibilità di ottimizzare il tempo, elementi fondamentali per gestire in modo innovativo i processi lavorativi. Manca però quella parte prettamente umana
di condivisione e contaminazione, in altre parole viene limitata la creatività. Non bisogna poi dimenticare che la commistione tra vita personale e professionale potrebbe essere talvolta destabilizzante.
Quali sono i settori in maggiore espansione?
La formazione e l’educazione digitale in generale rappresentano un valore fondamentale in cui affondare le radici per la crescita, soprattutto in uno scenario di così grande incertezza. In quest’ottica, tramite un confronto diretto con le
università, come nel caso del nostro accordo con il Politecnico di Milano, l’obiettivo è quello di garantire un’alfabetizzazione digitale adeguata che ci permetta di immaginare un futuro del lavoro realmente smart, nel quale l’equilibrio tra vita lavorativa e dimensione privata possa diventare sufficientemente armonioso.