Albert Einstein trascorse lunghi periodi in Italia, tanto che ne imparò anche la lingua. La sua famiglia si era trasferita a Pavia nel 1894 quando il padre del futuro fisico liquidò la sua fabbrica elettrotecnica di Monaco per trasferirsi col fratello Jacob in Italia. Qui Herman e Jacob Einstein fondarono, con l’ingegnere Lorenzo Garrone, le Officine Einstein-Garrone. Gli Einstein abitavano in via Foscolo 11, ma Albert, allora studente a Monaco, li raggiunse solo la primavera seguente, insofferente del clima militaresco che regolava la vita del collegio tedesco. Per un paio di estati, tra il 1895 e 1896, il sedicenne Albert visse in Italia e fu in questo periodo che convinse i genitori a trasferirlo presso il collegio svizzero di Aarau, trampolino di lancio per l’ammissione al Politecnico di Zurigo.
A Pavia, Albert Einstein cercò di divertirsi il più possibile: fece lunghe gite fuoriporta, girovagò in bici nella campagna circostante, suonava il violino accompagnato al piano dalla sorella Maja. Durante un pomeriggio estivo passato su una spiaggia lungo il Ticino fu presentato ad un’amica di Maja, tale Ernestina Marangoni, appartenente ad una famiglia con cui gli Einstein avevano fatto amicizia. Ernestina Marangoni, allora studentessa di chimica presso l’Università di Pavia, ricordò quell’incontro anni dopo, affermando che Albert non le aveva fatto particolare impressione: “Era delicato, ma sano, (…) scialbo (e) parlava abbastanza bene l‘italiano”.
Le vacanze pavesi di Albert Einstein terminarono nel 1896, quando iniziò gli studi ad Aarau, in Svizzera ed Ernestina non lo vide mai più. Continuò invece la frequentazione con Maja e la famiglia. Maja visse in Italia fino al 1939 con il marito Paul Winteler. Prima di emigrare negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi ebraiche fasciste, Maja ed Ernestina si incontrarono per l’ultima volta a Milano.
Poi arrivò la guerra, la disfatta politica del fascismo, morale degli italiani ed economica dell’Italia. Fu dopo il crollo del fascismo, nel 1946, che Ernestina cercò di ricontattare Albert: sperava che la sua fama potesse intercedere presso le autorità britanniche per accelerare la ricostruzione del ponte coperto di Pavia distrutto dai bombardamenti.
Albert rispose alla sua vecchia amica con tre lettere di cui una (scritta il 16 agosto 1946 e che vedete riprodotta qui sotto) è forse la più politica. Scritta in un buon italiano, “con disperato aiuto di Maja”, Albert (o Alberto, come si firmò) declinava l’invito di Ernestina perché “ho visto con orgoglio la Sua fiducia nella mia potenza sul mondo materiale – fiducia illusionaria. Le mie relazioni coll’ufficialità Inglese sono esplicitamente fredde perché ho accusato pubblicamente il regime coloniale inglese in occasione del problema Palestinense.”
Poche righe prima, la sua chiara vena antifascista si manifestò in singolar modo: dopo essersi complimentato nel “sentire, che tutti gli amici Casteggiani eccetto il marito di Julia Mai siano incolumi” aggiungeva che era felice che Mussolini fosse stato impiccato. Lo scrisse in modo plateale descrivendo l’impiccagione con un disegnino scritto a penna: “– e caro Mussolini (disegnino di lui impiccato, ben visibile nell’immagine), come onestamente meritato.”
Il corpo di Mussolini fu issato in piazza Loreto a Milano il 29 aprile 1945. A dispetto della vulgata nazionale non furono i partigiani ad appendere il duce, la Petacci e i tre gerarchi a testa ingiù alla tettoia di una stazione di carburante, ma i vigili del fuoco accorsi per contenere la folla inferocita.
Il gesto, oggi da molti ritenuto offensivo anche rispetto a chi tanto male ha fatto alla nazione, deve essere parametrato alla storia e ai tempi in cui si sono svolti i fatti. Solo in questo riallineamento temporale si può comprendere come anche un pacifista come Alberto Einstein abbia giustificato un atto che allora era visto “come onestamente meritato”.