Se tutto andrà bene, nel 2024 la prima missione del programma spaziale Artemis della Nasa riporterà l’uomo sulla Luna, 52 anni dopo l’Apollo 17. Ma perché abbiamo smesso di andarci e ora stiamo per tornarci? La risposta a entrambe le domande è sgradevolmente realistica: per i soldi. Le missioni Apollo erano troppo costose e avevano raggiunto il loro scopo nel quadro della guerra fredda: battere l’Unione Sovietica nella corsa allo spazio, dimostrando la superiorità tecnologica degli Stati Uniti. Per giunta anche l’interesse del pubblico era scemato, sicché il programma Apollo fu chiuso addirittura con tre missioni di anticipo.
Oggi il contesto è diverso. Finita la guerra fredda, c’è una nuova competizione tra potenze spaziali vecchie (Usa, Russia) e nuove (Cina, India) per accaparrarsi la fetta più grande della torta costituita dallo sfruttamento commerciale dei corpi celesti. Non a caso, a settembre la Nasa ha annunciato di essere alla ricerca di partner commeciali da cui acquistare rocce e campioni di suolo lunare e di essere disposta a pagarli fino a 50.000 dollari al Kg. Una mossa strategica in vista delle future missioni con equipaggio umano e dell’installazione di basi permanenti sulla Luna (e poi su Marte), dove gli astronauti dovrebbero utilizzare le risorse locali.
Poco dopo questo annuncio, l’amministratore della Nasa, Jim Bridenstine, parlando alla Secure World Foundation, ha paragonato lo sfruttamento dei corpi celesti a quello degli oceani:«Crediamo di poter estrarre e utilizzare le risorse della Luna, proprio come facciamo con il tonno dagli oceani». Con un tweet ha poi confermato che la Nasa «sta acquistando suolo lunare da un fornitore commerciale» e che quindi «è tempo di stabilire norme certe per estrarre e commerciare le risorse spaziali», senza infrangere l’Outer Space Treaty del 1967, in base al quale nessun Paese può rivendicare sovranità sulla Luna o altri corpi celesti. La questione è stata affrontata il 13 ottobre con gli Artemis Accords, definiti da Bridenstine «il programma internazionale di esplorazione spaziale umana più ampio e diversificato della storia […] con la cui firma oggi ci uniamo ai nostri partner per esplorare la Luna e stabiliamo principi vitali che creeranno un futuro sicuro, pacifico e prospero nello spazio per tutta l’umanità». Non proprio tutta, però, visto che per ora il programma è stato firmato solo da Australia, Canada, Italia, Giappone, Lussemburgo, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Usa. Restano fuori (guarda caso) russi, cinesi e indiani. Dmitry Rogozin, direttore di Roscosmos, ha subito chiarito la posizione della Russia twittando: «Il principio dell’invasione è lo stesso sia sulla Luna sia in Iraq».
Gli accordi Artemis sono organizzati per temi specifici: pacifica esplorazione, trasparenza, interoperabilità, assistenza nelle emergenze, registrazione degli oggetti spaziali, rilascio dei dati scientifici, salvaguardia del patrimonio storico, sfruttamento delle risorse spaziali, riduzione dei conflitti tra nazioni per le attività spaziali e corretta gestione dei rifiuti spaziali. A ciascun argomento è dedicata una sezione del documento in cui comunque non mancano criticità, come nel caso del paragrafo sulla condivisione delle informazioni e dei dati scientifici. Si legge infatti nel testo: «I firmatari si riservano il diritto di comunicare e rilasciare al pubblico informazioni riguardanti le proprie attività e intendono coordinarsi in anticipo per quanto riguarda la divulgazione pubblica di informazioni relative alle attività degli altri firmatari ai sensi dei presenti Accordi, al fine di fornire una protezione adeguata per qualsiasi informazione proprietaria e/o per il rilascio controllato delle informazioni. […] L’impegno a condividere apertamente i dati scientifici non è destinato a essere applicato alle operazioni del settore privato, a meno che tali operazioni non siano condotte per conto di un firmatario». Come a dire: ben venga la trasparenza ma senza esagerare perché, in fondo, si tratta di affari. È in questo contesto che vanno letti gli ultimi e abbastanza clamorosi annunci della Nasa. Nel solo mese di ottobre ci sono stati prima il successo della fase uno della missione OSIRIS-REx che nel 2023 porterà sulla Terra campioni raccolti sull’asteroide Bennu e poi la conferma che sulla superficie lunare c’è molta più acqua del previsto e più accessibile ai futuri astronauti. Il 30 maggio c’era stato il riuscito lancio di Space X, il primo sistema tutto americano dalla fine del programma Shuttle. Il ritorno dei lanci dal suolo statunitense rientra nel Commercial Crew Program della Nasa, una collaborazione con l’industria aerospaziale americana, avviata nel 2010 per sottrarre gli Usa alla dipendenza dai russi. Con Artemis, la Nasa ha fatto la sua mossa nella nuova corsa allo spazio e al suo sfruttamento commerciale. Ora resta da vedere quale sarà la risposta e da chi arriverà.