Ancora una volta la ricerca italiana, e in primis i ricercatori italiani, dimostrano le loro eccezionali qualità. Nonostante la percentuale del Pil destinata alla ricerca e allo sviluppo dal nostro Paese (inferiore a molti altri Paesi europei), nonostante la fuga di molti cervelli, nonostante la burocrazia labirintica, siamo sempre tra i migliori.
Questa volta a dare lustro alla ricerca italiana è l’Università Statale di Milano: secondo un articolo apparso su Science (n. 14 di gennaio), con 287 articoli pubblicati con oggetto il Covid-19, è preceduta a livello mondiale tra gli istituti universitari solo dalle due Università di Wuhan e dalla Harvard Medical School. Se si amplia la valutazione includendo anche gli istituti di ricerca scende in quinta posizione, preceduta dall’Inserm, l’Istituto Nazionale per la Salute e la Ricerca biomedica francese.
Inoltre, se le due università cinesi di Wuhan hanno profuso il massimo sforzo nei primi mesi della diffusione del virus, diradando poi le pubblicazioni a partire da marzo quando l’epicentro della pandemia si è spostato in Europa, la rilevanza del contributo della Statale risiede nell’ampiezza e importanza delle tematiche studiate, che spaziano dalle origini e modalità di circolazione del virus, agli avanzamenti forniti alle procedure per la diagnosi, il tracciamento e la cura dell’infezione e delle sue conseguenze a lungo termine, fino alla recente retro-datazione dell’inizio della pandemia a settembre-novembre 2019, ben prima della comparsa ufficiale del virus.
Insomma, ancora una volta c’è di che essere orgogliosi.