Gianni Rodari e la scienza

Il giornalista di Omegna è con Collodi il più grande scrittore italiano per l’infanzia. Utilizzando la fantasia e un linguaggio semplice, ha raccontato il mondo reale con le sue difficoltà e contraddizioni. Ma anche con i suoi cambiamenti. Per questo, dalla metà degli anni Cinquanta, l’autore della “Grammatica della fantasia” ha avuto la tecnologia come punto di riferimento

Era il 12 di aprile del 1961 quando il sovietico Jurij Gagarin, primo in assoluto, volava nello spazio. Un anno e nove giorni dopo, il 21 aprile 1962, si apriva a Seattle, negli Stati Uniti, il Century 21 Exposition Seattle World’s Fair, più brevemente Expo 1962, dedicato a “L’uomo nell’era dello spazio”. Quello stesso anno un noto scrittore italiano per l’infanzia, Gianni Rodari, abbandona improvvisamente i protagonisti delle sue prime (e bellissime) favole – Cipollino, Pomodoro, il Principe Limone, personaggi, per così dire, «frutta e verdura» – e propone il suo primo libro magico sull’uomo nell’era dello spazio Il Pianeta degli Alberi di Natale perché ormai devo scrivere per i bambini di oggi, astronauti di domani». Gianni Rodari – il più grande scrittore italiano per l’infanzia del XX secolo e con Carlo Collodi di ogni tempo – è nato a Omegna il 23 ottobre 1920, esattamente cento anni fa, ed è morto a Roma il 14 aprile 1980: quarant’anni fa. Come Collodi, è stato capace di riscrivere la «grammatica della fantasia» per i bambini (e gli adulti) dei nostri tempi. Come Collodi, ha utilizzato lo strumento della fiaba per raccontare il mondo reale, con le sue crudezze, le sue contraddizioni, le sue opportunità. A differenza di Collodi che lo ha concentrato in un unico, straordinario capolavoro, Le avventure di Pinocchio, Gianni Rodari ha proposto il suo realismo magico in una serie enorme di opere di diverso genere (romanzi, racconti, canzoni, filastrocche), nessuna delle quali spicca inequivocabilmente sulle altre.

 

Gianni Rodari

E, differenza ancora più importante, ha avuto la scienza e la tecnologia come punto di riferimento principale, a partire almeno dalla seconda parte degli anni ’50. Per questo appartiene a quel filone, altissimo, della letteratura italiana che da Dante a Galileo, da Leopardi a Calvino e a Primo Levi, ha nella scienza e nella filosofia naturale la sua «vocazione profonda». Per questo è uno scrittore attualissimo.

Molti sono i critici che, in Italia e all’estero, riconoscono la grandezza assoluta di Gianni Rodari. Pochi però hanno sottolineato come alla base della sua proposta ci sia un ménage à trois tra letteratura, filosofia e scienza.
Basta dare un fugace sguardo alla sua sterminata letteratura per rendersene conto. All’inizio degli anni Cinquanta, i protagonisti delle sue favole erano espressione del mondo che Rodari, giornalista e scrittore comunista, aveva come riferimento. «Quei personaggi mi piacevano: mi ricordavano i miei primi anni all’”Unità”, quando lavoravo in cronaca, e mi occupavo di questioni alimentari, e ogni giorno facevo il giro dei mercati, guardavo i prezzi, parlavo con commercianti e massaie e scoprivo tanti problemi nella borsa della spesa della gente», ricorderà in Storia delle mie storie. Ma tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 i luoghi e i protagonisti delle sue fiabe cambiano. I luoghi non sono più i mercatini rionali, ma i pianeti più lontani e lo spazio cosmico. I personaggi non sono quelli «frutta e verdura», ma astronauti, robot, scienziati. Persino i pulcini sono pulcini cosmici.

 

“Cipollino e il cavalier Pomodoro” in un francobollo russo del 1992

Gianni Rodari realizza questo cambiamento di punti di riferimento perché nella seconda metà degli anni Cinquanta il cielo comincia a popolarsi di razzi, satelliti artificiali, astronauti. È una successione rapida e impressionante. Nel 1957 l’Unione Sovietica mette in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1; nel 1959 una sonda sovietica, Lunik III, entra in orbita intorno alla Luna e ne fotografa la faccia fino ad allora nascosta; nel 1961 sempre l’Unione Sovietica manda il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin. Tutti colgono la novità: lo spazio sembra ridursi a cortile di casa. Con le nuove tecnologie e le vecchie risse. Ma pochi colgono la profondità del nuovo. Se il mondo cambia, cambia l’uomo. Italo Calvino è tra coloro che proprio in quegli anni “alza gli occhi al cielo” e coglie la profondità del nuovo. La tecnologia spaziale non cambia solo il mondo fruibile intorno a noi, espandendolo. Cambia noi stessi. Ed è con questo duplice cambiamento che occorre misurarsi.

Un cambiamento complesso, con molte facce. Quei razzi che volano sempre più in alto sono il simbolo della potenza crescente della tecnologia, capace di vincere i vincoli della gravità terrestre. Ma anche della potenza cupa della scienza, perché quei razzi promettono non solo di acquisire nuove conoscenze ma anche di trasportare bombe all’uranio e al plutonio sempre più potenti in pochi minuti da un capo all’altro della Terra, esponendo l’umanità al rischio dell’olocausto nucleare. Gli anni della corsa allo spazio sono anche gli anni della corsa al riarmo nucleare.
È questa la nuova, tragica realtà. Calvino inizia a narrarla per mezzo di un racconto – il suo primo racconto cosmico – che assomiglia a una fiaba: La tribù con gli occhi al cielo. E che come le fiabe ha un’allegoria fin troppo chiara: la tribù protagonista, la tribù con gli occhi al cielo, non è altro, infatti, che l’umanità intera. L’idea che Calvino inizia a maturare nella seconda parte degli anni ’50 è che questa novità, con tutti i suoi limiti ma anche con tutte le sue opportunità, può e quindi deve essere governata. E per governarla, sia pure in parte, occorre raccontarla. La fiaba è uno strumento adatto per raccontare e, indirettamente, guidare il nuovo mondo in cui l’uomo è sbarcato.

Rodari segue un percorso del tutto analogo. E non è sorprendente. Ha una sensibilità politica e artistica simile a Calvino. Ed è in costante dialogo con lo scrittore sanremese. Entrambi diventano esponenti principali di quel filone letterario, il realismo magico, che cerca forme non convenzionali di linguaggio, nuove o antiche, per raccontare e analizzare e cercare di cambiare la realtà più imminente del mondo.

Un adattamento teatrale tratto dai lavori di Gianni Rodari

Gianni Rodari è tra i primi ad accorgersi che la novità introdotta dalla tecno-scienza è epocale. Un autentico spartiacque. Da quel momento inizia a scrivere, come già ricordato e come sostiene nell’introduzione a Il Pianeta degli Alberi di Natale pubblicato nel 1962, «per i bambini di oggi, astronauti di domani». Immagina davvero che, di lì a qualche lustro, lo spazio sarà ridotto a cortile di casa dell’umanità. Una potente metafora che ci parla di una transizione più grande e più profonda. Il mondo sta entrando in una nuova era; la società umana sta entrando in una nuova dimensione: l’era e la società che il matematico Norbert Wiener proprio in quegli anni va definendo dell’informazione e della conoscenza. Si tratta di una transizione nella quale la scienza assume un ruolo da protagonista. L’era della conoscenza è caratterizzata sia dalla produzione incessante di nuova conoscenza (e niente più della scienza produce nuova conoscenza) sia dall’innovazione tecnologica (e niente più della nuova conoscenza prodotta dalla scienza alimenta l’innovazione tecnologica). La scienza penetra nella società e la rimodella. La novità è senza precedenti e dunque, sostiene Gianni Rodari, anche (e soprattutto) chi scrive per l’infanzia ne deve tener conto. «L’idea che il bambino d’oggi si fa del mondo è per forza tutt’altra da quella che se ne può essere fatta, da bambino, il padre stesso da cui lo separano pochi decenni», scrive nella sua Grammatica della fantasia pubblicata nel 1973.

Aveva ragione. Ha più che mai ragione. I nostri figli, tra la fine del XX secolo e questi primi due decenni del XXI, si stanno facendo un’idea del mondo diversa rispetto a quella che ci siamo fatti noi (padri) tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso. E noi, primi bambini con un futuro da astronauti, ci siamo fatti un’idea del mondo in maniera completamente diversa rispetto a quella che avevano maturato i nostri padri, trent’anni prima, tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Mentre quella dei nostri padri non era molto diversa da quella dei nostri nonni e dei nostri bisnonni. Perché? Beh, perché quando i nostri padri e nonni e bisnonni erano bambini, prima della seconda guerra mondiale, nel loro mondo non c’era la scienza o, meglio, la scienza non era ancora entrata nella vita quotidiana delle persone, né con l’”enorme tecnologia” né con nuove “immagini del mondo”. Nulla, dunque, più della scienza ha modificato il modo in cui le nuove generazioni si fanno un’idea del mondo. È questa la grande intuizione (forse la più grande) che ha avuto Gianni Rodari nel reinventare la grammatica della fantasia e nell’utilizzare gli antichi strumenti – la favola, la filastrocca – per raccontare ai bambini (e agli adulti) non solo e non tanto il mondo nuovo in cui ci hanno sbarcato la scienza e la tecnologia ma il nuovo modo di pensare il mondo nell’era della scienza e della tecnologia.

Stiamo realizzando una forzatura? Stiamo immaginando un Rodari che non esiste, critico della scienza attraverso la fiaba? Allora diamo un’occhiata al discorso che lo scrittore ha tenuto nel 1970, dieci anni prima di morire, quando gli è stato assegnato il premio Andersen: “Io penso che il signor Newton abbia scoperto le leggi della gravitazione universale proprio perché aveva una mente aperta in tutte le direzioni, capace di immaginare cose sconosciute, aveva una grande fantasia e sapeva adoperarla. Occorre una grande fantasia, una forte immaginazione per essere un grande scienziato o per immaginare cose che non esistono ancora e scoprirle, per immaginare un mondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo. Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi, essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo, gli può dare delle immagini anche per criticare il mondo. Per questo credo che scrivere fiabe sia un lavoro utile”.

Questo testo corrobora le nostre due tesi. Nel centesimo anno dalla sua nascita e nel quarantesimo dalla sua morte conviene ricordare che Gianni Rodari è un grande scrittore che appartiene a quella che Benedetto Croce chiamava letteratura alta. E conviene ricordare, soprattutto, il suo obiettivo di fondo: dare ai bambini di oggi (astronauti e cibernauti di domani) gli strumenti per conoscere e criticare il mondo, per costruire una società democratica della conoscenza.

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