Nei Paesi anglofoni, la data 14 marzo si scrive come 3.14 (anteponendo il numero del mese a quello del giorno). È stato allora molto naturale associare al numero π questo giorno di marzo e dare così vita al π-day. L’idea è venuta in particolare al fisico americano Larry Shaw che nel 1988, a San Francisco, ha pensato di trasformare il 14 marzo in una festa di π e di tutta la matematica. Nel 2009 la proposta è stata “presa in carico” dal presidente Obama che vi ha visto un modo simpatico e comunicativo per incoraggiare i giovani allo studio della matematica.
Quest’anno, l’Unesco, su proposta dell’International Mathematical Union, ha proclamato il 14 marzo “Giornata internazionale della Matematica”. Lo slogan di questa prima edizione sarà Mathematics is everywhere. La matematica è ovunque, anche in una festa e nel divertimento!
I ricordi scolastici di matematica tendono inevitabilmente a offuscarsi con il tempo. Nella memoria rimangono forse il teorema di Pitagora e il quadrato costruito sull’ipotenusa. Rimane forse il quadrato del binomio, il quadrato del primo più il quadrato del secondo e il doppio prodotto tra il primo e il secondo. Quasi sicuramente, tra questi ricordi, figura comunque la filastrocca del raggio per raggio per tre e quattordici (che in realtà è la formula per trovare l’area di un cerchio).
Il pi greco, memorizzato con le sue prime cifre 3,14 e indicato con il simbolo π, è insomma un numero che orecchiamo tutti. Non si è sempre chiamato così. Anzi, nome e simbolo che gli rimangono attaccati nella memoria collettiva sono fatti relativamente recenti. La storia di π è molto più lunga. La possiamo suddividere grosso modo in tre periodi. Il primo ruota attorno alla figura di Archimede anche se, quando il matematico di Siracusa entra in scena, attorno al 250 a.C., il numero pi greco c’è già e se ne conosce una prima approssimazione. Gli antichi babilonesi, ben prima di Pitagora, e gli egizi avevano capito che c’è un rapporto costante tra la lunghezza di una circonferenza e il suo diametro: C/2r = costante.
Detto in altre parole: se raddoppiamo il diametro, raddoppia anche la lunghezza della circonferenza; se triplichiamo il diametro, triplica anche la lunghezza della circonferenza e così via. Detto ancora in altre parole: C = 2r × costante ovvero, se moltiplichiamo la lunghezza del diametro per questo numero costante (uguale per tutte le circonferenze), abbiamo la lunghezza della circonferenza che ci interessa. Per i babilonesi e gli egizi, la regola non faceva parte del … programma di matematica, ma era un modo essenziale e molto concreto per costruire le ruote, misurare i campi, progredire nelle conoscenze astronomiche. Di questo numero costante, il rapporto tra circonferenza e diametro, babilonesi ed egizi sapevano che grosso modo valeva 3.
Più in particolare, lo approssimavano con 3+1/8 = 3,125 (che, arrestata alla terza cifra decimale, è già una buona approssimazione; noi lo approssimiamo con 3,141).
Archimede fa meglio, anche se nel frattempo erano passati circa 1.500 anni. Fa meglio perché migliora l’approssimazione e soprattutto perché introduce un metodo, un passaggio al limite diremmo noi oggi, che permette di precisare l’approssimazione di pi greco quanto si vuole. Comincia osservando che la lunghezza di una circonferenza è maggiore del perimetro p del poligono di sei lati inscritto nella circonferenza e minore del perimetro P dell’esagono circoscritto alla stessa circonferenza.
In formula: p < C < P ovvero p < 2πr < P (anche se Archimede non scrive ancora il simbolo π,) da cui ottiene p/2r < π < P/2r. I valori p, P, r sono misure lineari, facili ad aversi. Abbiamo così ricavato un’approssimazione per difetto e per eccesso di pi greco: questo numero è compreso tra p/2r e P/2r. Se, invece di un esagono, avessimo preso un poligono di 12 lati, l’approssimazione sarebbe stata migliore perché il poligono inscritto e quello circoscritto sarebbero risultati più aderenti alla circonferenza. Su questa strada, servendosi di poligoni di 96 lati, Archimede trova che pi greco vale circa 3,14 e che è compreso tra 3,1408 e 3,1428.
Come potete immaginare, dopo Archimede la storia di pi greco continua alacremente. Se ne occupano i greci, i cinesi, gli indiani. Se ne occupano pure gli studiosi islamici e quindi Leonardo Pisano, detto Fibonacci, che porta in Europa le conoscenze della matematica araba. L’approssimazione di pi greco si arricchisce di nuove cifre decimali. È una caccia motivata dalle applicazioni che richiedono una maggiore esattezza e dalla curiosità di sapere come va a finire (sempre che le cifre di pi greco, a un certo punto, finiscano). Sono le due molle che motivano in ogni tempo e in ogni dove lo sviluppo del pensiero matematico. Nel 1610 l’olandese Ludolph van Ceulen stabilisce nella rappresentazione decimale di pi il record delle 39 cifre dopo la virgola, di cui 35 effettivamente corrette. Ne è talmente fiero da chiedere che il numero sia inciso sulla sua tomba.
La svolta – il secondo dei tre periodi cui accennavamo – si ha con la nascita del calcolo differenziale, con le derivate e gli integrali. Alla base del loro calcolo, soprattutto nell’impostazione di Newton, sta la possibilità di sviluppare una funzione in serie di potenze. Consideriamo ad esempio la funzione y=log(1+x). Si dimostra, almeno per x abbastanza piccolo, che è uguale alla somma di infinite potenze: log(1+x)=x–x2/2+x3/3–x4/4+…. Così, per ottenere i valori della funzione, si può calcolare in modo molto più facile la somma algebrica delle potenze. È chiaro che ci si fermerà alla somma dei primi tre addendi oppure dei primi cinque oppure dei primi dieci e quindi che quello ottenuto sarà un valore approssimato. Ma così, a metà ‘600, dallo sviluppo in particolare della funzione y=arctg(x), per x=1, i matematici riescono a ricavare le prime cinque cifre dopo la virgola nello sviluppo decimale di pi greco. Passa quasi un secolo e a metà ‘700 il matematico svizzero Eulero riesce, utilizzando ancora una volta i metodi del calcolo differenziale, a trovare un modo molto più veloce per calcolare l’approssimazione di pi greco.
Soprattutto, introduce il simbolo π con cui da tre secoli identifichiamo il rapporto costante tra una circonferenza e il suo diametro: il simbolo richiama la parola greca periferia (“circonferenza”) e perimetros, la lunghezza della circonferenza. È nato il π!
La gara a chi trova il maggior numero delle sue cifre decimali continua. Sono già più di cento all’inizio del ‘700, diventano 440 a metà ‘800. Diventano molte, ma molte di più, nel terzo periodo della nostra storia, quello del computer.
Nel 1949, in Inghilterra arrivano al decimale 808; qualche anno dopo, negli USA, con il calcolatore elettronico ENIAC costruito dall’esercito americano, a 2.037. La crescita è veloce ma la storia di π non si esaurisce nella caccia al record. Anzi! Le sue (tantissime) cifre decimali conosciute non erano periodiche. Non vi si ravvisava nessuna regolarità ma rimaneva il dubbio che una periodicità potesse emergere più avanti, dopo un certo numero di cifre decimali. È un dubbio che oggi non esiste più, dissipato da un teorema.
Nel 1761 il matematico e filosofo svizzero Johann Heinrich Lambert ha dimostrato infatti che π è irrazionale ovvero che nella sua scrittura decimale non c’è alcun periodo, non c’è alcuna sequenza di cifre che si ripete sempre uguale a sé stessa all’infinito dopo la virgola. Di più, nel 1882 il matematico tedesco Ferdinand von Lindemann ha provato che π è un numero irrazionale trascendente, vale a dire non è neppure radice di un’equazione algebrica a coefficienti razionali.