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Attenzione! Questo articolo è certificato con tecnologia blockchain.
Nessuna parte di questo testo potrà mai essere modificata, alterata, copiata e incollata da nessun’altra parte o attribuita ad altro autore che non sia il sottoscritto. Che è un giornalista italiano, regolarmente iscritto all’Ordine Nazionale, identificato in base a un numero di tessera, in regola con la formazione.
Anche questo è certificato. Per verificarlo, vi basterà inquadrare il codice QR che trovate qui accanto. Un attimo dopo la consegna al direttore, Vincenzo Mulè, questo testo è stato caricato sulla piattaforma di Lirax.org per la certificazione in base al profilo a me associato.
FAKE NEWS IN FUORIGIOCO
Che cosa significa tutto questo? Per le fake news, vita molto breve. Da tempo il giornalismo si interroga a livello globale sulle soluzioni da adottare per contrastare le fake news. La situazione era già abbastanza seria ma ora, ad aggravare il quadro, si è aggiunta la massiva produzione di deepfake (video realistici ma modificati con programmi di intelligenza artificiale, capaci di far dire o far fare a persone cose che in realtà non hanno detto o fatto). La risposta che il mondo dell’informazione si è dato, più o meno in maniera univoca, è che non ci sarà più alcun giornalismo se non si provvede a dare al lettore la garanzia che ciò che sta leggendo sia un contenuto verificato, originale e di qualità. Fin qui le intenzioni.
Il problema è stato però affrontato in maniera frammentaria. Ognuno ha cercato una propria strada per arrivare allo stesso risultato. A livello internazionale possiamo pensare all’Icij, il consorzio di giornalisti investigativi che ha realizzato l’inchiesta sui Panama Papers. Oppure al Global Investigative Journalism Network che raggruppa testate di vari Paesi. In Italia c’è l’Irpi (Investigative reporting project Italy), un’associazione di giovani reporter che fanno del giornalismo di qualità il loro obiettivo. Anche la Rai sta studiando un sistema per certificare la propria informazione, mentre fioriscono i progetti nelle Università: alla Luiss di Roma è stato da poco inaugurato il laboratorio di ricerca Aletheia per promuovere lo studio su temi legati a “informazione, correttezza professionale, lotta alla disinformazione e polarizzazione coatta nei media, on e offline”.
L’ultimo assalto ai deepfake è stato da poco lanciato da Facebook che ha annunciato una stretta in vista delle elezioni americane del novembre 2020. Il social network vieterà la diffusione di video artefatti pur continuando a consentire la diffusione di clip di satira, anche se modificati.
Muovendosi su un campo minato, in equilibrio tra due diritti contrapposti, eliminerà quei video le cui modifiche “non sembreranno evidenti a una persona media”.
SUPERARE IL DEBUNKING
Lo sforzo comune è quello di elevare l’informazione al di sopra del mare magnum di un web ridotto al luogo dei falsi a ogni livello. L’attività di debunking, ossia lo smascheramento delle bufale, se all’inizio poteva essere utile, oggi però non è più praticabile (se non per casi eclatanti). Fatti i debiti paragoni, è come se un commerciante impiegasse tutta la sua giornata a provare che il negozio di fronte ha messo in vetrina merce contraffatta o scadente piuttosto che lavorare alla qualità di ciò che mette nella propria.
Ecco il punto. Il volume dei falsi immessi ogni giorno in rete ha superato il livello contrastabile con il debunking. L’unico rimedio è puntare su un’informazione originale e di qualità, cioè verificata. Con la convinzione che il lettore saprà distinguere queste notizie da tutte le altre, esattamente come un cliente si accorge della qualità della merce esposta in vetrine diverse. Oggi questo obiettivo è raggiungibile: alle notizie si può assegnare un bollino di garanzia, un sigillo che indichi chiaramente che quel contenuto è certificato.
VERSO NOTIZIE CERTIFICATE
Avete presente il segno di spunta che i social network utilizzano per distinguere tra profili ufficiali e non? La stessa cosa può essere fatta con le notizie. Il segno di spunta, lo stamp che garantisce che quel contenuto è certificato, è quello che trovate accanto alla firma di questo articolo. Questa operazione metterà le fake news fuori gioco, senza più bisogno di perdere tempo a dimostrare che si tratta di bufale. Per arrivare a questo risultato bisogna passare attraverso due stadi preliminari: certificazione delle persone e certificazione degli editori. La tecnologia che permette di farlo è la blockchain. Oggi siamo in grado di creare contenuti assolutamente inattaccabili, ancorati a un’identità, una data e un luogo certi e verificabili in qualsiasi momento. Per la certificazione degli editori servirà un po’ più di tempo. E si dovrà operare un cambio di passo: nelle redazioni dovranno lavorare solo giornalisti certificati, a garanzia del lettore e della testata stessa. Sarà poi la volta del livello più difficile. Certificare una notizia è impossibile. Chiunque, anche un professionista, può incappare in un errore o prendere un abbaglio. Ma possiamo limitare questo rischio e ridurlo quasi a zero. Pensiamo ai video o alle foto, per esempio. Quante volte avete visto immagini di cui non sapevate nulla? Ignoti autore, luogo e data di riferimento; ignote le modalità di cattura di quell’immagine e la sua eventuale modifica rispetto all’originale. Manipolare queste informazioni è facile e alimenta il circo delle fake news. Ma che cosa accadrebbe se un domani potessimo associare al video un autore certo (e certificato), una data (certificata), un luogo (geolocalizzato al momento della realizzazione) e una sequenza di pixel immodificabile che permetta di certificarlo in blockchain? Avremmo prodotto un contenuto agganciato per sempre a quattro parametri non più falsificabili, un bollino di garanzia perenne a tutela non solo del lettore ma anche dell’autore che potrebbe proteggerlo da manipolazioni o furto della proprietà intellettuale. Torniamo a oggi e al primo livello, la certificazione dei giornalisti. Certificare le persone non è alternativo alla verifica delle notizie. Si tratta di un passo successivo e serve proprio a conservare e preservare il lavoro di verifica che ogni giornalista deve fare, per legge. Chi arriva a una notizia deve sapere con esattezza chi gliela sta dando, quando l’ha scritta, per chi lavora. Deve sapere se quella persona è un giornalista, cioè un professionista soggetto alla legge e alla deontologia, controllato da un Ordine che ne garantisce il rispetto, pena la sanzione; se è in regola con la formazione professionale; se ha subito sanzioni. O se invece è un pinco pallino qualsiasi e un creatore di fake news. La blockchain è il futuro che arriverà, che ci piaccia o no. Come è successo con la ruota, il vapore, internet o i cellulari.