La Maturità? Tutto ha inizio con Giovanni Gentile, il filosofo siciliano nato a Castelvetrano nel 1875. Uno dei massimi esponenti del neo-idealismo italiano.
L’amico di Benedetto Croce, almeno all’inizio del Novecento. Poi, già ai tempi della prima guerra mondiale, i due si trovano su strade che cominciano a separarsi. Dopo la marcia su Roma del 1922, Mussolini viene incaricato dal re di formare un nuovo governo e al dicastero dell’Istruzione nomina proprio Gentile. Il filosofo è il fiore all’occhiello di una compagine governativa e in generale di un partito – il Partito Nazionale Fascista, il PNF, una sigla che presto sarà interpretata come “Per Necessità Familiari” – che non brilla certo per la presentabilità dei suoi esponenti.
Gentile non assume l’incarico con leggerezza. Si mette subito al lavoro e decide di realizzare una riforma del sistema scolastico italiano che ne cambia radicalmente faccia e che ne costituirà per molti decenni l’architettura portante. La riforma Gentile, appunto. L’abbiamo presa un po’ alla larga ma l’esame di maturità – la maturità di cui vorremmo raccontare la storia dal punto di vista matematico – nasce all’interno della riforma Gentile. Il filosofo ha l’idea di introdurre una prova finale che esprima il controllo dello Stato sull’intero percorso scolastico e rappresenti anche un compromesso con la Chiesa e le forze cattoliche, facilitate nell’istituzione di scuole private; tanto, poi, c’è l’esame finale, con tutte le garanzie di legge, che verifica la loro serietà. È una scuola seria, quella di Gentile. Certo, in funzione di precise scelte ideologiche.
Il primo anno della Maturità è il 1924: quattro prove scritte ed esami orali su tutte le materie e su tutto il programma svolto negli anni della scuola media superiore. Al liceo scientifico, istituito sulle basi del pre-esistente liceo moderno, c’è quindi la prova scritta di matematica. Nel box accanto potete leggere il testo del problema assegnato nel luglio del ‘24, nella prima sessione (ne era prevista anche una seconda perché si poteva essere rimandati a settembre in alcune materie, in quelle dove non si era raggiunta la sufficienza). È un problema di geometria come era quasi naturale che dovesse essere, vista la tradizione didattica e la particolare autorevolezza nelle università italiane della scuola geometrica.
È chiaro che stiamo parlando di una scuola ben diversa da quella attuale, anche dal punto di vista numerico. I licei scientifici erano pochi in tutta Italia e pochi, attorno ai 5.000, erano gli studenti che li frequentavano. A sostenere la maturità scientifica, nei primi anni, ogni mese di luglio, non erano più di 500 studenti mentre oggi a sostenere tale esame si presentano circa 100.000 ragazzi. Nel 1924 i promossi alla maturità furono poco più del 50%! Sì, avete letto bene: 1 candidato su 2 fu bocciato! Queste erano le direttive di “serietà” emanate da Gentile.
Non era certo un bel biglietto da visita per il movimento fascista, impegnato nella ricerca di consenso tra la classe media. Non si rimane allora stupiti se la permanenza del filosofo alla guida del Ministero dell’Istruzione volge presto al termine. Gentile si dimette nel giugno del ‘24. Le motivazioni non sono certo dovute all’eccessiva severità delle prove d’esame assegnate alla maturità ma la percentuale di bocciati (lo ripetiamo, il 50%) dà comunque un’idea della più generale incompatibilità del filosofo con alcuni aspetti del fascismo.
L’esame di maturità va naturalmente avanti anche senza Gentile. Diventa presto una colonna del sistema scolastico italiano, il suggello del percorso di studi pre-universitari. È l’iniziazione alla vita adulta. I figli della borghesia diventano “grandi” superando le difficoltà della prova di maturità. Poi, per loro, si aprono le porte dell’università. Chi ha la maturità scientifica non può però scegliere le facoltà umanistiche e neppure giurisprudenza. Si susseguono, nella prova scritta di matematica, i problemi da risolvere per via geometrica o per via algebrica. Negli anni Trenta fa la sua comparsa la geometria analitica con le parabole, di cui nel ‘36 si comincia a chiedere di disegnare il grafico, e le iperboli equilatere.
Cominciano a comparire funzioni “strane” (di cui non si richiede però il diagramma) come y=x3-x2 e y=x/2+1+2/x. Prende comunque sempre più piede un particolare tipo di problema per la cui soluzione occorre procedere per via algebrica scegliendo un’incognita, la mitica x (la misura di un lato o l’ampiezza di un angolo) e arrivando a scrivere con le informazioni fornite dal testo un’equazione di secondo grado. La sua soluzione assegna i valori di x ma bisogna prima verificare che questi valori soddisfino determinate limitazioni suggerite dalla natura del problema. Peccato che i coefficienti dell’equazione di secondo grado dipendano da un parametro reale, il k, un’altra mitica lettera! È la cosiddetta discussione: occorre trovare per quali valori di k si hanno nessuna o una o due soluzioni che soddisfano le limitazioni del problema. Da un punto di vista matematico, la questione è ragionevole e anche interessante. La sua soluzione si trasforma purtroppo in una stanca liturgia, in uno schema (affidato ad alcune disequazioni generalmente di primo grado) da seguire senza che sia chiaro perché si facciano determinati passaggi. Il metodo di Tartinville, dal nome di un oscuro matematico francese, non prevede che ci si ponga troppe domande: si fa così, “viene” e basta!
All’inizio degli anni ‘70 diventa presidente della Mathesis, l’associazione nazionale degli insegnanti di matematica, Bruno de Finetti. È uno studioso di primissimo piano, noto e apprezzato a livello internazionale, soprattutto nel campo della probabilità, dell’economia e della matematica finanziaria e attuariale. Nel panorama della matematica italiana di quegli anni, la sua è però una personalità abbastanza anomala che non esita a prendere pubblicamente posizione anche su argomenti spinosi. Nel ‘67 aveva firmato un appello contro la dittatura instaurata in Grecia. Aveva poi aderito al Partito Radicale di Marco Pannella e a causa di queste sue posizioni, in particolare per aver sostenuto i diritti degli obiettori di coscienza al servizio militare (allora obbligatorio), viene pure arrestato, in realtà per poche ore, nel carcere romano di Regina Coeli. Ci sono delle situazioni che lo indignano e contro le quali non usa mezzi termini. Leggete ad esempio che cosa scriveva contro la burocrazia statale, uno dei bersagli preferiti delle sue polemiche e del suo sarcasmo: “L’imbecillità è un difetto, e come tale va rispettato: chi ne è del tutto immune, scagli la prima pietra. Ma il culto dell’imbecillità, no, non è semplicemente un difetto; è ben altro. Il culto dell’imbecillità è una malattia perniciosa, l’imbecillite; questa malattia ingenera un comportamento criminale, l’imbecillismo; questo comportamento sfocia nel più allarmante flagello, l’imbecillocrazia”.
Parlando del metodo di Tartinville, come presidente della Mathesis, non è meno caustico. È un “morbo da debellare al più presto, una tra le più vistose tra le disgraziatamente non poche forme di cretinismo scolastico”. E prosegue: “La prova scritta di matematica per il Liceo scientifico costituisce un caso a sé sotto due punti di vista: primo, perché si tratta di un esempio insuperabilmente patologico di aberrazione intesa a favorire l’incretinimento sistematico e totale dei giovani; secondo, perché non c’è alcuna difficoltà a modificarlo eliminandone gli inconvenienti e le loro deleterie ripercussioni su tutto il corso degli studi. Da tempo immemorabile (almeno da decenni) avviene precisamente che questa famigerata prova scritta ripeta con qualche variante sempre lo stesso problema stereotipato (equazioni di secondo grado, o trinomìa, con un parametro: da ciò il termine di “trinomite” per indicare l’eccessiva insistenza su questo solo particolare argomento): problema cha ha soprattutto la disgrazia di poter essere ridotto a uno schema macchinale, formale, pedestre, che va sotto il nome di un certo Tartinville”. A distanza di qualche decennio, il j’accuse di de Finetti può essere letto come uno dei segnali della protesta che stava montando contro le istituzioni, soprattutto scolastiche, e la loro perdita di credibilità. Il re è nudo!
Si mette in discussione addirittura l’esame di maturità, che doveva rappresentare il biglietto d’ingresso delle future classi dirigenti nella società degli adulti. Sì, sta arrivando il ‘68 anche per la prova di matematica al liceo scientifico!
Le profonde novità che stanno scuotendo la società italiana lasciano un segno anche nell’organizzazione dell’esame di maturità e nei testi dei problemi assegnati in quegli anni. Nel ‘69, anche per la maturità, sono aboliti gli esami di riparazione a settembre: promossi o bocciati a luglio (e il numero dei promossi comincia a salire vertiginosamente). Cambia anche il linguaggio (e la sostanza). Nella prova di matematica al liceo scientifico, non più “calcolare” o “determinare” ma la più “democratica” espressione: “Il candidato risolva, a sua scelta, almeno due dei seguenti quesiti”.
Nel ‘71, per la prima volta, il problema assegnato è articolato in 4 quesiti indipendenti e gli studenti ne devono appunto risolvere almeno 2. Il primo è un problema di trigonometria che si conclude con uno studio di funzione. Il secondo è un problema di massimo/minimo. Il terzo introduce la novità dello studio della funzione trigonometrica y = 2sen x + sen 2x. Il quarto, infine, è un tradizionale problema di geometria analitica. I 4 quesiti indipendenti, pur ridotti a 3, “resistono” fino al 2000 quando il nuovo testo di matematica alla maturità scientifica introduce 2 diversi problemi, articolati al loro interno in diverse questioni e seguiti da un questionario di 10 domande. È qui, all’interno del questionario, che compaiono le prime domande di probabilità. Naturalmente lo studente sia “invitato” a rispondere solo ad alcuni dei quesiti proposti.
Si va verso i giorni nostri. Le riforme dell’esame di maturità – dal ‘97 si chiama Esame di Stato – si susseguono, più o meno provvisorie, più o meno sperimentali. Cambiano le materie da “portare” all’esame ma al liceo scientifico rimane la prova scritta di matematica (è solo da un paio di anni che si parla di alternarla o di integrarla con una prova scritta di fisica). L’esame deve però registrare un ultimo “scossone” quando nel 2014 si comincia a parlare di matematica&realtà e della necessità di contestualizzare i problemi. Non più “studiare la seguente funzione, tracciandone poi il grafico” ma l’esame di situazioni concrete o verosimili: lunghezza delle corsie in una gara di atletica, forma geometrica di una pista da ballo, inclinazione di una tettoia, ruote quadrate ecc. Sono situazioni che vanno modellizzate, individuando i dati sensibili e costruendo poi una formula (non più data a priori) che li sintetizzi e dalla cui manipolazione analitica, in un secondo momento, scaturisca la soluzione.
Bisogna modernizzare l’insegnamento della matematica, anche rinnovando il testo dell’esame di maturità! Il punto di riferimento è costituito dalla didattica anglosassone, più pragmatica di quella italiana, meno “gentiliana” e più attenta alle applicazioni concrete e ai problemi che provengono dalla realtà. L’obiettivo di questo cambiamento di stile è quello di risalire nelle valutazioni internazionali dove questo tipo di problemi rappresenta la norma e dove le performances dei nostri studenti figurano spesso nella parte medio-bassa delle classifiche.
E quest’anno? C’è la novità della fisica. Il ministro ha promesso (o minacciato…) che il testo sarà metà matematico e metà fisico; ci saranno insomma dei problemi di fisica che porteranno a una formalizzazione matematica e alla sua auspicabile soluzione. Staremo a vedere…