Breve introduzione al calcolo delle variazioni. Nelle scuole superiori, al quarto o quinto anno, ci hanno insegnato a trovare i punti di massimo o di minimo di una funzione y=f(x): si calcola la derivata prima della stessa funzione e la si pone uguale a zero. Si trovano così i punti detti stazionari e solo tra questi – solitamente un numero molto limitato – si annidano i punti di massimo e di minimo richiesti. Se in particolare la funzione è un polinomio di secondo grado (in una variabile), le cose sono ancora più semplici: il suo grafico è dato da una parabola e il suo punto di massimo o di minimo è dato dall’ascissa del vertice (che abbiamo imparato a calcolare con la geometria analitica). Se la funzione f dipende da due o più variabili indipendenti, il metodo si ripete in modo molto simile.
Si parlerà di derivate parziali, anziché di derivate tout court, ma la sostanza non cambia. Decisamente più difficili sono i problemi in cui la quantità y, la variabile dipendente, dipende appunto da una curva e da tutti i suoi punti. Si tratta in questo caso di trovare la curva (non un punto!) che rende massima o minima la variabile dipendente y. Questi problemi di ottimizzazione, quando y dipende da una curva e solitamente è scritta attraverso un integrale, vanno sotto il nome di calcolo delle variazioni.
La storia di questa disciplina, della teoria e dei suoi metodi risolutivi, è molto lunga. Risale addirittura al mito della regina Didone e dei cosiddetti problemi isoperimetrici: si trattava di trovare, tra tutte le curve di un perimetro assegnato (da qui l’aggettivo isoperimetrico), quella che racchiudeva la superficie di area massima.
Il Calcolo delle variazioni ha dunque una lunga storia alle spalle ma uno dei primi matematici ad avere trovato metodi risolutivi soddisfacenti, almeno per i problemi più semplici, fu lo svizzero Leonard Euler (1707-1783). Noi siamo abituati a italianizzare il suo nome in Eulero. Arrivati a lui, possiamo partire con la storia della nostra lettera.
Nel 1744, Eulero aveva trovato un metodo per risolvere il problema più semplice del Calcolo delle variazioni attraverso un’equazione che ancora oggi porta il suo nome. Il suo metodo era molto interessante perché generalizzava quello che abbiamo visto all’inizio di questo articolo con la ricerca dei punti stazionari ma, per il resto, era “calcoloso” come qualsiasi altra cosa inventata da Eulero. Consisteva nell’approssimare la curva con una linea spezzata e quindi approssimare l’integrale con una somma utilizzando i metodi classici del calcolo differenziale per minimizzarla e massimizzarla. Poi, con arditi passaggi al limite, come solo a lui riuscivano, Eulero mostrava come determinare la curva corrispondente.
La lettera gli arriva nel 1755. Uno sconosciuto non ancora diciannovenne gli scrive per comunicargli una soluzione molto più semplice, senza approssimazioni né passaggi al limite, dello stesso problema. Si immagini se una tale lettera fosse stata indirizzata, un secolo prima, a Cartesio o a Newton… Apriti cielo! Ma gli uomini del Settecento erano più interessati a trovare metodi migliori che a rivendicare i propri. Almeno così si comportò Eulero, che rispose al giovane sconosciuto in questi termini: “Sembra che tu abbia eretto la teoria dei massimi e dei minimi al suo più alto grado di perfezione. La mia ammirazione per la sagacia del tuo ingegno non conosce confini”.
Il giovane non ancora diciannovenne scriveva non dalla Prussia né dalla Francia ma da uno staterello decisamente periferico in quanto a progresso scientifico, il Regno di Sardegna. Il suo nome era (più o meno) Giuseppe Luigi de Lagrange! Il geniale torinese aveva un innato talento per il formalismo e la manipolazione algebrica e formulò un’analoga teoria del calcolo differenziale classico per la ricerca dei massimi e dei minimi di una quantità y scritta sotto forma di integrale e dipendente da tutti i punti di una curva.
Lagrange applicherà questo suo calcolo alla formulazione dei principi della fisica newtoniana in una forma elegante e analitica che ancora oggi è utilizzata. Questa scoperta gli varrà, a soli 20 anni, la cattedra di matematica all’Accademia Reale di Torino con l’inizio di una folgorante carriera che lo condurrà prima a Berlino, alla corte di Federico II come successore proprio di Eulero e, infine, a Parigi dove, all’apice del successo, sarà accolto con tutti gli onori prima, durante e dopo la Rivoluzione.
È il caso di dirlo: è bene pensarci ogni volta che qualcuno, con meno esperienza di noi, ci propone un modo nuovo di fare qualcosa che credevamo di saper fare meglio di chiunque altro!