Claudio Giorgione è il curatore della mostra “Leonardo da Vinci. La scienza prima del-la scienza” che le Scuderie del Quirinale propongono fino al 30 giugno. 46 anni, laureato in Lettere moderne, critico e storico dell’arte, è il curatore del Dipartimento “Leonardo, arte e scienza” del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano che ha collaborato, con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, alla produzione della mostra romana.
È lui che ci accompagna nella visita alle dieci sale delle Scuderie in cui è suddivisa la mostra, costruita attorno a altrettanti temi leonardeschi e ad altrettanti disegni provenienti dal Codice Atlantico. Per gli scritti e i disegni di Leonardo si parla sempre di Codici: più di 7.000 pagine di appunti con la caratteristica scrittura mancina dell’autore, da destra a sinistra.
I disegni del Codice Atlantico sono una delle due gambe su cui poggia la mostra romana; l’altra è costituita dai modelli delle macchine vinciane che il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano ha raccolto e sviluppato a partire dal 1952, per celebrare il quinto centenario della nascita di Leonardo da Vinci.
Ci avviamo a visitare la mostra salendo la magnifica scala che porta al primo piano e che, con i suoi gradini molto bassi, suggerisce senz’ombra di dubbio che era stata pensata per i cavalli. Del resto non è un caso se il palazzo di chiama le scuderie del Quirinale. Nel Settecento, quando è stato costruito, non c’era il presidente Mattarella ma il papa e l’edificio era legato all’esigenze di servizio del palazzo maggiore. Poi avrebbe ospitato le carrozze del re fino al 1938, quando le scuderie furono adattate ad autorimessa.
Subito, la conversazione con Claudio Giorgione si ferma sul titolo della mostra. “Quando si organizza una mostra su Leonardo, le scelte sono inevitabili“, ci dice. “A maggior ragione in questa occasione, i 500 anni dalla sua morte, in cui gli eventi celebrativi non mancano. Come tema fondante noi abbiamo scelto l’umanesimo e la tecnica. Nel titolo doveva quindi subito comparire la parola scienza. Con l’avvertenza, però, che non siamo ancora a Galileo e che con Leonardo il cammino che porterà alla nascita della scienza moderna non si è ancora concluso“.
Entriamo nella terza sala, Disegno e prospetti- va, accolti da una frase del Codice Atlantico: “Tutti i casi della prospettiva sono intesi mediante i cinque termini de’ matematici, cioè punto, linia, angolo, superfizie e corpo”. Ci aspettiamo che i cinque termini vivano in qualche bella realizzazione multimediale e invece incrociamo qui un’al- tra precisa scelta operata dal curatore e dagli allestitori della mostra, che hanno deciso di non ricorrere ai facili effetti delle tecnologie multimediali. “È una scelta – ribadisce Giorgione – dovuta alla volontà di dare il massimo risalto possibile all’opera vinciana e alla sua originale dimensione tecnica”.
Alla bottega del Verrocchio, Leonardo aveva acquisito una notevole padronanza della prospettiva geometrica e della resa stereometrica dei solidi. È bravo ad usare queste tecniche e lo prova, qui nella terza sala, con il disegno di una ruota dentata ancora una volta studiata senza fini pratici. In sala è esposta anche una delle tre copie manoscritte che ancora esistono del De Divina Proportione di Luca Pacioli, messa a confronto con due prestigio- si esemplari della versione a stampa pubblicata nove anni più tardi. Leonardo vi aveva disegnato un gran numero di tavole che raffigurano variazioni sul tema dei cinque solidi platonici, di tutti e soli i poliedri che hanno per facce poligoni regolari, uguali tra loro, che si incontrano nello stesso numero in ciascun vertice: tetraedri, cubi, ottaedri, dodecaedri e icosaedri. Sono disegni straordinari per l’illuminazione e l’ombreggiatura, che fanno sembrare quasi reali quelle figure geometri- che, con la geniale intuizione di rappresentare le facce in modo trasparente così che i so- lidi ci appaiono in realtà come scheletri di cui è visibile l’interno.
LA MOSTRA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE
Abbiamo detto dell’importanza del soggiorno milanese. Nel capoluogo lombardo, Leonardo viene a contatto diretto anche con la notevole scuola di ingegneria idraulica lombarda da cui dipendeva la rete di canali utilizzati per il trasporto delle merci nel perimetro della città. Milano non è città d’acqua, non si trova sul mare né in riva a un fiume e quindi ha la necessità di costruire in modo razionale il suo rapporto con le vie d’acqua, naturali e artificiali. Nella mostra e in particolare nel-
la quarta stanza dal titolo evocativo Città ideale e vie d’acqua, l’immagine di Milano verso la fine del ‘400 è resa in modo quanto mai efficace da due capolavori della miniatura del periodo nei quali si possono scorgere la forma pressoché circolare della città, la struttura medievale della sua pianta e i principali edifici con la piazza del Duomo, la facciata di Santa Maria delle Grazie e uno scorcio delle mura attorno al Castello Sforzesco. Leonardo pensa invece a uno sviluppo urbanistico diverso, una città ideale appunto, e all’impianto viario intricato che sperimenta ogni giorno contrappone gli studi per uno sviluppo ortogonale della città a doppio livello, uno superiore per i pedoni e un altro più in basso per i canali, i commerci e le fognature: in fin dei conti bisognava migliorare la situazione igienica di una città che era appena stata devastata dalla peste bubbonica.
Nel frattempo comunque Leonardo partecipa al- la modernizzazione della città con studi e disegni. Alcuni probabilmente rappresentano manufatti già esistenti, altri si riferiscono a sue proposte originali. Disegna in particolare il portello della conca di San Marco soffermandosi sui dettagli costruttivi di un portello secondario che avrebbe permesso una migliore regolazione della pressione che l’acqua esercitava sulle porte del- le chiuse azionate durante il passaggio delle imbarcazioni. Ci dice il presidente delle Scuderie Mario De Simoni, che nel frattempo ci ha raggiunti: “Se dovessi indicare un solo oggetto che rappresenti al meglio lo spirito di questa mostra e i motivi di riflessione che vuole stimolare, indicherei proprio i portelli lignei della conca di San Marco del naviglio Martesana.
Ci portano direttamente al cuore concettuale di questa mostra: la completezza del pensiero leonardesco non come somma di diverse competenze, ma come effetto di un legame intrinseco fra arte e tecnica, fra l’esattezza dell’osservazione del naturalista e la potenza creativa dell’artista. È lo stupefacente frutto di una simbiosi quasi unica fra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica”.
Degli stessi anni, che sono poi quelli del Cenacolo, tra il 1495 e il 1496, sono le sue ricerche sulle attività produttive in campo tessile e metallurgico. Lo studio degli elementi che chiama “macchinali” lo porta a concepire macchine con sistemi di meccanizzazione originali e avanzati. Uno dei più bei disegni della mostra riguarda proprio un filatoio ad alette mobili in grado di distribuire sulla rocchella il filato in modo uniforme. Nel disegno l’elemento di maggior innovazione, il duplice albero che muove in senso contrario fuso ed alette, è rappresentato separatamente, in sezione, per mostrare nel dettaglio quello che non si poteva vedere dall’esterno.
Dopo aver visitato la quinta sala, dedicata appunto a L’ingegno del fare, ci spostiamo al piano superiore. È sempre Claudio Giorgione a farci da guida. Diamo un’occhiata ad alcune scene del film La vita di Leonardo da Vinci di Renato Castellani, del 1971, con Philippe Leroy e Giulio Bosetti, proiettato nella sala video delle Scuderie e poi ci prendiamo una pausa alla caffetteria. Il lettore ci perdonerà, ma la visita ci ha finora impegnato abbastanza. C’è molto da vedere, molto da leggere, molto da imparare e gli allestitori sono stati bravi a tener desta la curiosità.
È durante la pausa del caffè che Giorgione ci ricorda la genesi della mostra, l’idea iniziale dovuta all’ex ministro Franceschini e tutto il lavoro progettuale ed esecutivo che ne è seguito per più di un anno e mezzo. In questa fase, il prestigio delle Scuderie è stato determinante per superare molte delle difficoltà incontrate per ottenere i presti- ti richiesti, in un anno in cui tutto il mondo celebra contemporaneamente il genio leonardesco. Ad accoglierci al secondo piano, quasi come elemento che riprende e si contrappone ai “seriosi” disegni per le attività produttive, sono le macchi- ne che Leonardo disegna per onorare il suo incarico ufficiale alla corte degli Sforza di organizzatore di rappresentazioni teatrali. Gli apparati scenografici dovevano diventare oggetto di stupore e strappare un “Oh” di meraviglia da parte degli invitati alle feste di corte e alle celebrazioni delle ricorrenze più importanti. Per gli Sforza, in occasione del matrimonio di Gian Galeazzo con Isabella d’Aragona nel 1490, Leonardo costruisce una volta stellata, come un mezzo uovo rivesti- to internamente d’oro, con una grande macchina scenica che mette in moto i pianeti. I disegni di questa performance non ci sono arrivati ma possiamo farci un’idea della produzione di Leonardo guardando un altro studio eseguito dieci anni prima e relativo a un carro semovente. Per molto tempo, questo carro è stato considerato un antenato dell’automobile, irrobustendo il mito del geniale inventore, ma la sua destinazione più verosimile appare proprio quella di una macchina teatrale in grado di muoversi per un breve tratto su un palcoscenico o su una piazza.
D’altra parte, le relazioni tra macchine e teatro sono nel ‘500 presenti anche in altri Paesi europei, a indicare canali di comunicazione ben avviati e la consistenza di una cultura caratterizzata da elementi comuni, al di là delle frontiere. Può darsi che l’Europa non sia ancora un’entità politica riconosciuta senza tentennamenti dai suoi cittadini, ma le sale di questa mostra parlano di cultura europea e non riescono a rinchiudere neppure Leonardo dentro cancelli nazionali.
Dopo le macchine per la produzione e quelle per il teatro (ospitate nella sesta sala Teatri di macchine), ecco quelle per la guerra. Ci stiamo avvicinando al gran finale e agli elementi più noti e clamorosi della fama leonardiana. Prima però la mostra si concede una pausa “culturale“ con la settima sala dedicata a La biblioteca di Leonardo. Lui si definiva “omo sanza lettere” e proprio per questo, con il passaggio a Milano, inizia un personale percorso di acculturamento che non rinnegherà il primato dell’esperienza ma gli aggiungerà i contributi della “maestra vera”, vale a dire di una cultura che via via si consolida. Arriverà a scrivere che “Quelli che s’innamoran di pratica sanza scientia, son come il nocchiere che entra navilio sanza timone o bussola che mai à certezza dove si vada”. Non conosce il latino e inizia allora a leggere la Divina Commedia o le traduzioni dei classici come Ovidio e Plinio il Vecchio. Riesce in breve a formarsi una biblioteca composta da oltre 150 volumi, un numero eccezionale per un artista dei suoi tempi. La biblioteca purtroppo è andata dispersa, con l’unica eccezione del Manoscritto Laurenziano esposto in mostra. Non conosce neppure la matematica ed è qui che risulta fondamentale il suo incontro con Luca Pacioli tanto che per lui si può parlare di una pre- senza della matematica diversa fra il “prima“, con parecchie “sbavature“ o errori veri e propri, e il “dopo” l’incontro. Luca Pacioli aveva pubblicato la sua Summa a Venezia nel 1494 e Leonardo ne aveva acquistato senza indugio una copia che aveva ordinato da Milano pagandola 119 soldi. L’incontro vero e proprio tra Leonardo e Luca Pacioli avviene a Milano nel 1496 quando il secondo viene incaricato dell’insegnamento di matematica. L’amicizia e reciproca stima so- no quasi immediate. Da Luca Pacioli, Leonardo impara che cos’è una dimostrazione e il metodo della falsa posizione. Lo affascina la geometria, meno l’aritmetica, e lo interessano in particolare le costruzioni con riga e compasso, la quadratura del cerchio e in generale la possibilità di trasformare una figura in un’altra con la stessa area, la costruzione di un cubo di volume doppio rispetto ad un dato, le tassellazioni, la teoria delle lunule, la geometria della riflessione della luce e quella della sezione aurea che applica nello studio delle proporzioni della figura umana. La collaborazione con Luca Pacioli si sviluppa a Milano ma forse i due amici continueranno a vedersi a Firenze nei primi anni del Cinquecento per ritrovarsi anni dopo alla corte di papa Leone X dove Pacioli era stato chiamato per insegnare. La consapevolezza dell’importanza della matematica è ormai acquisita: “Nissuna umana investigazione si po’ dimandare vera scienzia, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni”. Leonardo non era un ingegnere militare quando passò da Firenze a Milano, ma tale si era presentato a Ludovico il Moro in una lettera del 1482 in cui offriva al duca i propri servizi: “Farò carri coperti securi e inoffensibili, e quali intrando intra li inimici con sue artiglierie, non è si’ grande moltitudine di gente d’arme che non rompessimo. E dietro a questi poteranno seguire fante- rie assai, illese e senza alcun impedimento. (…) occurrendo di bisogno , farò bombarde, mortari e passavolanti di bellissime e utile forme, fora del comune uso”. Paolo Portoghesi ha osservato che “l’aggettivazione è ridondante ma il risultato non è ciarlatanesco, gli oggetti di cui parla sono oggetti ben noti, studiati a lungo o almeno immaginati con ogni precisione. Leonardo vede gli oggetti di cui parla e ne accarezza nella fantasia la reale apparenza”.
L’ottava sala, L’arte della guerra, espone i modelli costruiti seguendo i disegni che Leonardo realizza osservando il Castello Sforzesco e più tardi, tra il 1502 e il 1503, alcune fortificazioni presenti in Romagna. Presenta anche alcuni di- segni di macchine da guerra caratterizzate da una grande fantasia. Giorgione sottolinea come l’impegno di Leonardo appaia avulso da qualsiasi risvolto pratico, anche se probabilmente i disegni più spettacolari gli servivano per ottenere credito presso Ludovico il Moro e costituivano dei veri e propri fogli di presentazione. Fatto sta che, con gli strumenti rappresentati e la complessità concettuale dei disegni, le quotazioni di Leonardo superano ben presto quelle degli altri ingegneri. Nei disegni delle macchine da guerra –sono sempre parole di Giorgione – l’ingegneria si interseca con la rappresentazione artistica conferendo ai disegni toni concitati e drammatici, come nel caso del fantastico carro d’assalto che porta strepito e distruzione sollevando polvere e sassi.
La penultima sala, Macchine per il volo, presenta le visionarie ricerche di Leonardo sul volo, quelle che ne hanno legato la figura al mito di Icaro e gli hanno dato la qualifica di assoluto precursore per le costruzioni di aerei ed elicotteri. Leonardo comincia con lo studio del volo meccanico per poi, con il tempo, passare alle ricerche sistematiche sul volo degli uccelli e sulle correnti d’aria. Nessuno prima di lui aveva studiato con metodo in che modo gli uccelli si mantengono in quota. Il tentativo di tradurre la loro anatomia in forme meccaniche dà vita a disegni di grande impatto, come nel caso di una navicella volante con le ali incurvate o in quello di un aliante con l’estremità delle ali manovrabili. Il disegno più conosciuto rimane però, con tutta probabilità, quello della Vite aerea in cui per lungo tempo si è pensato di riconoscere un prototipo dell’elicottero e che invece con tutta probabilità è stato concepito in funzione di uno spettacolo pubblico o di una rappresentazione sacra. L’immaginazione di macchine fantastiche, come questa o la precedente “dell’automobile”, ha costituito la principale molla della diffusione del mito di Leonardo. È una costruzione che inizia subito con Le Vite di Giorgio Vasari, di fatto contemporaneo di Leonardo. Poi, in età moderna, ecco Napoleone che nel 1796 requisisce alla Biblioteca Ambrosiana i Codici, che diventano a Parigi oggetto di studio e sono poi pubblicati a partire dalla fine dell’Ottocento, prima in Fra cia e poi anche in Italia. Nel nostro Paese, Leonardo diventa successivamente funzionale a un altro mito, quello fascista del primato del genio italico e di una nazione, culla di grandi geni e della civiltà latina, che vanta tali successi anche in campo scientifico e tecnologico da non aver bisogno dell’aiuto delle potenze straniere. L’Italia fascista celebra le geniali anticipazioni di Leonardo con la grande Mostra di Leonardo e del- le invenzioni italiane aperta Milano il 9 maggio 1939. La parte matematica vede impegnato in prima fila il fisico matematico e storico della matematica Roberto Marcolongo.
La distanza tra le due mostre, quella milanese del ‘39 e quella romana delle Scuderie, è evidente. “È un confronto che non si può fare”, ci dice salutandoci Claudio Giorgione, mentre si avvia a rispondere alle domande di altri visitatori. “Nel nostro caso ci siamo serviti di 10 disegni originali di Leonardo per accompagnare il visitatore alla scoperta di oltre 200 opere tra modelli storici, preziosi manoscritti e disegni, volumi rari. Di Leonardo abbiamo voluto mettere in evidenza gli aspetti innovativi del lavoro e l’eredità culturale lasciata: un pensiero trasversale e duttile, un’idea di conoscenza che costruisce relazioni e connessioni. La nostra grande sfida, e scommessa, è stata quella di evitare le facili semplificazioni e di presentare Leonardo così com’è, come ci appare, come appare agli studi più recenti. Dirà il pubblico se la scommessa è stata vinta”.