“Siamo bombardati dai numeri”, si lamenta qualcuno. E in un unico calderone mette il codice della propria carta di credito, i vari pin e le percentuali che aprono i vari telegiornali. Bombardati o meno, è vero che numeri, statistiche e percentuali sembrano invadere ogni aspetto della nostra vita. Anche la politica. Lo spread, l’analisi costi-benefici, le previsioni sull’andamento del Pil, la platea di chi avrà diritto al reddito di cittadinanza, ecc.
Dell’Istat, dell’Italia che “dà i numeri”, degli indici che misurano le disuguaglianze sociali parlano gli articoli che aprono questo numero (ancora…!) di Prisma. Dei numeri su cui si regola il sistema pensionistico italiano parla Tito Boeri nell’intervista che ci ha rilasciato il giorno in cui scadeva il suo mandato di presidente dell’Inps. In questo momento, i rapporti tra la politica e la “scienza dei numeri” sono abbastanza conflittuali, diciamo problematici.
L’opinione pubblica ha spesso nei confronti dei dati quantitativi un atteggiamento di sudditanza psicologica, quasi un retaggio del luogo comune per cui è matematicamente certo che 2+2 fa 4 e non c’è da discutere. Pensa alle descrizioni numeriche come a una fotografia esatta della realtà sociale. Spesso i politici non riescono ad accettare una tale autorevolezza che, secondo loro, spetta invece alla politica. Soprattutto, quando i dati numerici non sono in linea con le loro previsioni politiche e le promesse elettorali, mettono in discussione la fondatezza di un approccio che in termini sprezzanti definiscono contabile e invocano un ritorno alla centralità della politica.
I matematici sanno che con i numeri non si entra nel regno dell’oggettività e della fedele rappresentazione della realtà. Il ragionamento matematico e anche quello statistico, i modelli attraverso cui procedono, portano sempre con sé l’eredità delle scelte compiute nel momento di avvio e poi anche durante la realizzazione delle procedure di calcolo. Pure la produzione di dati non è immune da questa soggettività, non se questi si riferiscono all’universo dei votanti o di chi ha diritto alla pensione, ma di sicuro se fanno riferimento a un campione (scelto in base a determinati criteri). L’osservazione vale a maggior ragione quando, dalla produzione dei dati, si passa alla loro analisi.
Davanti ai numeri non bisogna quindi genuflettersi. Bisogna però leggerli con attenzione e rispetto, perché permettono di avviare l’analisi a un livello superiore. Cercare di capirli, almeno. Offrono, della società italiana, non una fotografia ma un quadro sicuramente più preciso e autorevole di certe vacue ricostruzioni verbali. Con i numeri ci si deve, insomma, confrontare.
Angelo Guerraggio | Direttore editoriale